Categoria: Dottrina sociale della Chiesa

08/11/2010

La solidarietà

di Staff — Categorie: Dottrina sociale della Chiesa 09/10Commenti disabilitati su La solidarietà

5° Elemento per stare insieme:

LA SOLIDARIETA’ (CDSC  192-203)

 

 

Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!», a gloria di Dio Padre. (Fil 2,6-11)

 

Se vi è un principio che è proprio della teologia e della prassi cristiana è quello della solidarietà.

 

A livello “verticale”, nel rapporto Dio-uomo circa l’incarnazione del Verbo che realizza redenzione e salvezza, il “modo” scelto da Dio è solidarizzare con l’umanità mediante la presenza del Figlio suo unigenito, che «spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce» (Fil 2,7).

 

A livello “orizzontale” è lo stesso Rabbi Galileo, Cristo Gesù a indicare lo stile che deve contraddistinguere i suoi discepoli: «Amatevi gli uni gli altri come lo vi ho amato» (Cv 15,12) e 1’u‑niversalità di questo ‘amore che supera la legge antica sino a por tare il discepolo di Cristo all’amore dei suoi nemici (Lc 6,27).

 

Il parametro per il cristiano non è solo l’insegnamento del Vangelo, ma lo stesso evento Cristo, inteso quale uomo nuovo, solidale con l’umanità sino a sacrificarsi per offrire ad essa un’economia salvifica-altra, che non solo non penalizza l’uomo, ma anzi lo eleva alla stessa vita divina.

 

In Cristo Gesù «è sempre possibile riconoscere il segno vivente di quell’amore incommensurabile e trascendente del Dio-con-noi che si fa carico delle infermità del suo popolo, cammina con esso, lo salva e lo costituisce in unità. In Lui e grazie a Lui, anche la vita sociale può essere riscoperta, pur con tutte le sue contraddizioni e ambiguità, come luogo di vita e di speranza»

 

Già nei primi passi dell’annuncio cristiano e dell’edificazione della Comunità del Risorto troviamo questa solidarietà che assieme all’ascolto dell’insegnamento degli Apostoli, della fractio panis e della preghiera costituisce uno dei criteri fondamentali per riconoscere una vera Comunità cristiana.

 

[Quelli che erano stati battezzati] erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere. Un senso di timore era in tutti, e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo. (At 2,42)

 

LA SOLIDARIETA’ E’ UN DOVERE

«Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.  (Mt 25,31ss)

 

Il principio di solidarietà per il laico cristiano non può essere visto solo come un’opportunità che gli permette di esprimere una concreta «carità sociale», come direbbe Pio XI, ma e invece per lui «un autentico dovere». Il Concilio Vaticano II ricorda alle «nazioni sviluppate che hanno il dovere di aiutare le nazioni in via di sviluppo».

 

CDSC 192 La solidarietà conferisce particolare risalto all’ intrinseca socialità della persona umana, all’uguaglianza di tutti in dignità e diritti, al comune cammino degli uomini e dei popoli verso una sempre più convinta unità. Mai come oggi c’è stata una consapevolezza tanto diffusa del legame di interdipendenza tra gli uomini e i popoli, che si manifesta a qualsiasi livello. Il rapidissimo moltiplicarsi delle vie e dei mezzi di comunicazione « in tempo reale », quali sono quelli telematici, gli straordinari progressi dell’informatica, l’accresciuto volume degli scambi commerciali e delle informazioni, stanno a testimoniare che, per la prima volta dall’inizio della storia dell’umanità, è ormai possibile, almeno tecnicamente, stabilire relazioni anche tra persone lontanissime o sconosciute. A fronte del fenomeno dell’interdipendenza e del suo costante dilatarsi, persistono, d’altra parte, in tutto il mondo, fortissime disuguaglianze tra Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo, alimentate anche da diverse forme di sfruttamento, di oppressione e di corruzione che influiscono negativamente sulla vita interna e internazionale di molti Stati. Il processo di accelerazione dell’interdipendenza tra le persone e i popoli deve essere accompagnato da un impegno sul piano etico-sociale altrettanto intensificato, per evitare le nefaste conseguenze di una situazione di ingiustizia di dimensioni planetarie, destinata a ripercuotersi assai negativamente anche negli stessi Paesi attualmente più favoriti

 

Paolo VI nella sua enciclica Populorum Progressio chiederà di «mettere in opera questo insegnamento conciliare… Di fronte alla crescente indigenza dei Paesi in via di sviluppo, si deve considerare come normale che un Paese evoluto consacri una parte della sua produzione al soddisfacimento dei bisogni di Paesi in via di sviluppo, normale altresì che si preoccupi di formare degli educatori, degli ingegneri, dei tecnici, degli scienziati che poi metteranno scienza e competenza al loro servizio. Una cosa va ribadita di nuovo: il superfluo dei Paesi ricchi deve servire ai Paesi poveri».

LA SOLIDARIETA’ E’ UN PRINCIPIO SOCIALE (Aspetto istituzionale)

 

CDSC193 Le nuove relazioni di interdipendenza tra uomini e popoli, che sono, di fatto, forme di solidarietà, devono trasformarsi in relazioni tese ad una vera e propria solidarietà etico-sociale, che è l’esigenza morale insita in tutte le relazioni umane. La solidarietà si presenta, dunque, sotto due aspetti complementari: quello di principio sociale e quello di virtù morale. La solidarietà deve essere colta, innanzi tutto, nel suo valore di principio sociale ordinatore delle istituzioni, in base al quale le « strutture di peccato », che dominano i rapporti tra le persone e i popoli, devono essere superate e trasformate in strutture di solidarietà, mediante la creazione o l’opportuna modifica di leggi, regole del mercato, ordinamenti.

 

LA SOLIDARIETA’ E’ ESSERE CON GLI ALTRI

 

Solidarietà è superare «quella somma di fattori negativi che agiscono in senso contrario a una vera coscienza del bene comune universale» che vengono denominate «strutture di peccato». Creare invece un concreto atteggiamento che trasformi «la brama esclusiva del profitto e la sete del potere» in strutture di solidarietà mediante la «creazione o l’opportuna modifica di leggi, regole del mercato, ordinamenti» Questa reale esigenza proviene dalla dimensione antropologica che fa dell’individuo pensante un essere per sua natura predisposto ad entrare in relazione con gli altri. L’uomo essenzialmente evita la solitudine, egli è aperto alla solidarietà.

 

E un “essere-con” gli altri, già all’interno della famiglia (luogo della prima esperienza di solidarietà e prossimità), all’interno dei gruppi umani (tribù, popoli, nazioni, ecc.); questa qualitas esistenziale della persona abbraccia tutta l’umanità attraverso la mediazione delle istituzioni sociali, culturali, religiose, politiche, economiche, ecc. La stessa conformazione di “essere razionale”, che è il costitutivo essenziale della struttura antropologica, porta la persona a cercare e a realizzare la solidarietà. E doveroso quindi ricordare che la persona umana per sua natura non è solitaria, ma solidale, in quanto essa è esistenzialmente orientata alla relazionalità ed alla solidarietà. Il bisogno di vivere con gli altri in un ambiente umano, naturale, culturale è innato in ogni essere umano.

 

LA SOLIDARIETA’ E’ UNA VIRTU’ MORALE (aspetto personalistico)

 

CDSC193 La solidarietà è anche una vera e propria virtù morale, non un « sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario, è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo veramente responsabili di tutti ».418 La solidarietà assurge al rango di virtù sociale fondamentale poiché si colloca nella dimensione della giustizia, virtù orientata per eccellenza al bene comune, e nell’« impegno per il bene del prossimo con la disponibilità, in senso evangelico, a “perdersi” a favore dell’altro invece di sfruttarlo, e a “servirlo” invece di opprimerlo per il proprio tornaconto (cf. Mt 10,40-42; 20,25; Mc 10,42-45; Lc 22,25-27) ».

 

Solidarietà quale virtù morale va intesa non come una risposta sentimentale o pietistica nei confronti dei vari disagi o impoverimenti di persone o popoli meno abbienti, bensì ridurre la disuguaglianza, liberare l’uomo dalle sue servitù, renderlo capace di divenire lui stesso attore responsabile del suo miglioramento materiale, dello svolgimento pieno del suo sviluppo spirituale. Dire sviluppo è in effetti dire qualche cosa che investe tanto il progresso sociale e la crescita economica. Non basta accrescere la ricchezza comune perché sia equamente ripartita, non basta promuovere la tecnica perché la terra diventi più umana da abitare… Economia e tecnica non hanno senso che in rapporto all’uomo che esse devono servire.

 

LA SOLIDARIETA’ E’ RENDERE L’ALTRO PROTAGONISTA

L’uomo non è veramente uomo che nella misura in cui, padrone delle proprie azioni e giudice del loro valore, diventa egli stesso autore del proprio progresso». La solidarietà diviene dunque virtù morale perché umanizza la società e le persone nel senso che fanno propria la consapevolezza di «essere tutti responsabili di tutti». Che la solidarietà debba essere considerata “virtù”, e non dunque semplice risposta emotiva o episodica, è un dato di fatto che certo è sempre necessario sottolineare per superare la provvisorietà emotiva che può essere utile nell’emergenza, ma non diviene spesso stile di vita.

 

CDSC 194  Il messaggio della dottrina sociale circa la solidarietà mette in evidenza il fatto che esistono stretti vincoli tra solidarietà e bene comune, solidarietà e destinazione universale dei beni, solidarietà e uguaglianza tra gli uomini e i popoli, solidarietà e pace nel mondo. Il termine « solidarietà », ampiamente impiegato dal Magistero, esprime in sintesi l’esigenza di riconoscere nell’insieme dei legami che uniscono gli uomini e i gruppi sociali tra loro, lo spazio offerto alla libertà umana per provvedere alla crescita comune, condivisa da tutti. L’impegno in questa direzione si traduce nell’apporto positivo da non far mancare alla causa comune e nella ricerca dei punti di possibile intesa anche là dove prevale una logica di spartizione e frammentazione, nella disponibilità a spendersi per il bene dell’altro al di là di ogni individualismo e particolarismo.

 

LA SOLIDARIETA’ CI FA AVERE UN DEBITO D’AMORE

Non abbiate alcun debito con nessuno, se non quello di un amore vicendevole; perché chi ama il suo simile ha adempiuto la legge. Infatti il precetto: Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non desiderare e qualsiasi altro comandamento, si riassume in queste parole: Amerai il prossimo tuo come te stesso. L’amore non fa nessun male al prossimo: pieno compimento della legge è l’amore. (Rm 13,8)

CDSC 195  Il principio della solidarietà comporta che gli uomini coltivino maggiormente la consapevolezza del debito che hanno nei confronti della società entro la quale sono inseriti: sono debitori di quelle condizioni che rendono vivibile l’umana esistenza, come pure di quel patrimonio, indivisibile e indispensabile, costituito dalla cultura, dalla conoscenza scientifica e tecnologica, dai beni materiali e immateriali, da tutto ciò che la vicenda umana ha prodotto. Un simile debito va onorato nelle varie manifestazioni dell’agire sociale, così che il cammino degli uomini non si interrompa, ma resti aperto alle generazioni presenti e a quelle future, chiamate insieme, le une e le altre, a condividere, nella solidarietà, lo stesso dono.

 

 

LA SOLIDARIETA’ E’ IL VOLTO “LAICO” DELLA CARITA’

 

Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall’altra parte. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n’ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all’albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno. Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?>>. Quegli rispose: <<Chi ha avuto compassione di lui>>.

 

Il compendio avvicina la “laica” virtù della solidarietà alla cristiana virtù della carità.

 

CDSC 196 Il vertice insuperabile della prospettiva indicata è la vita di Gesù di Nazaret, l’Uomo nuovo, solidale con l’umanità fino alla « morte di croce » (Fil 2,8): in Lui è sempre possibile riconoscere il Segno vivente di quell’amore incommensurabile e trascendente del Dio-con-noi, che si fa carico delle infermità del Suo popolo, cammina con esso, lo salva e lo costituisce in unità. In Lui, e grazie a Lui, anche la vita sociale può essere riscoperta, pur con tutte le sue contraddizioni e ambiguità, come luogo di vita e di speranza, in quanto segno di una Grazia che di continuo è a tutti offerta e che invita alle forme più alte e coinvolgenti di condivisione.

 

MA PIU’ GRANDE E’ LA CARITA’

La solidarietà deve superare se stessa, e rivestire le dimensioni specificatamente cristiane della gratuità totale, del perdono e della riconciliazione. Allora il prossimo non è soltanto un essere umano con i suoi diritti e la sua fondamentale uguaglianza davanti a tutti, ma diviene la viva immagine di Dio Padre… e pertanto deve essere amato anche se nemico».

 

Avete anche inteso che fu detto agli antichi: Non spergiurare, ma adempi con il Signore i tuoi giuramenti; ma io vi dico: non giurate affatto: né per il cielo, perché è il trono di Dio; né per la terra, perché è lo sgabello per i suoi piedi; né per Gerusalemme, perché è la città del gran re. Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno.

Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente; ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra; e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due. Da’ a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle.

Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste. (Mt5,33-48)

 

CDSC 196 Gesù di Nazaret fa risplendere dinanzi agli occhi di tutti gli uomini il nesso tra solidarietà e carità, illuminandone l’intero significato: « Alla luce della fede, la solidarietà tende a superare se stessa, a rivestire le dimensioni specificamente cristiane della gratuità totale, del perdono e della riconciliazione. Allora il prossimo non è soltanto un essere umano con i suoi diritti e la sua fondamentale eguaglianza davanti a tutti, ma diviene la viva immagine di Dio Padre, riscattata dal sangue di Gesù Cristo e posta sotto l’azione permanente dello Spirito Santo. Egli, pertanto, deve essere amato, anche se nemico, con lo stesso amore con cui lo ama il Signore, e per lui bisogna essere disposti al sacrificio, anche supremo: “Dare la vita per i propri fratelli” (cfr. 1 Gv 3,16) ».

 

Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli,ma non avessi la carità, sarei un bronzo risonante o un cembalo squillante.Se avessi il dono della profeziae conoscessi tutti i misteri e tutta la scienzae avessi tutta la fede in modo da spostare le montagne, ma non avessi la carità,non sarei nulla. Se distribuissi tutti i miei beni per nutrire i poveri,se dessi il mio corpo per essere arso,e non avessi la carità,non mi gioverebbe a nulla.

La carità è paziente,è benigna la carità; la carità non invidia, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira,non tiene conto del male ricevuto, ma si compiace della verità; tutto tollera, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non verrà mai meno.

Le profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà, la scienza svanirà; conosciamo infatti imperfettamente, e imperfettamente profetizziamo; ma quando verrà la perfezione, sparirà ciò che è imperfetto.

Quando ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Da quando sono diventato uomo, ho smesso le cose da bambino. Adesso vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia. Ora conosco in parte, ma allora conoscerò perfettamente,come perfettamente sono conosciuto. Ora esistono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità; ma la più grande di esse è la carità. (1 Cor 13,1)

 

Guarda con bontà, Padre, il tuo popolo, e con l’effusione del tuo Spirito accresci tra tutti i credenti l’amore per la verità, perchè nella ricerca sincera e nel comune impegno, costruiscano la vera unità. Per Cristo nostro Signore. Amen.

08/11/2010

La sussidiarietà

di Staff — Categorie: Dottrina sociale della Chiesa 09/10Commenti disabilitati su La sussidiarietà

4° Elemento per stare insieme:

LA SUSSIDIARIETA’ (CDSC 185-188 )

 

Guarda con bontà, Padre, il tuo popolo, e con l’effusione del tuo Spirito accresci tra tutti i credenti l’amore per la verità, perchè nella ricerca sincera e nel comune impegno, costruiscano la vera unità. Per Cristo nostro Signore. Amen.

 

E’ IL DIRITTO-DOVERE A FARE LA PROPRIA PARTE

Il principio di sussidiarietà è un concetto proprio della “filosofia sociale”, il modus essendi del vivere sociale, al quale si dovrebbe ispirare l’intero ordinamento sociale, che intende nulla mortificare di ciò che gli individui, la famiglia, i corpi intermedi e  i pubblici poteri operano a favore del bene comune. Già Leone XIII nella sua magna carta della dottrina sociale cristiana affermava «non essere giusto che il cittadino e la famiglia siano assorbiti dallo Stato, è giusto invece che si lasci all’uno e all’altra tanta indipendenza di operare quanta se ne può, salvo il bene comune ed altri diritti».

 

Fratelli, come il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo. E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito. Ora il corpo non risulta di un membro solo, ma di molte membra. (1 Cor 12,12-30)

 

Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune: a uno infatti, per mezzo dello Spirito, viene dato il linguaggio di sapienza; a un altro invece, dallo stesso Spirito, il linguaggio di conoscenza; a uno, nello stesso Spirito, la fede… Ma tutte queste cose le opera l’unico e medesimo Spirito, distribuendole a ciascuno come vuole. (1 Cor 12,4-11)

 

Giudicate voi stessi quello che dico: il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane. (1 Cor 10,15-17)

 

SOGGETTIVITA’ CREATIVA

“È impossibile promuovere la dignità della persona se non prendendosi cura della famiglia, dei gruppi, delle associazioni, delle realtà, territoriali locali, in breve, di quelle espressioni aggregative di tipo economico, sociale, culturale, sportivo, ricreativo, professionale, politico, alle quali le persone danno spontaneamente vita e che rendono loro possibile una effettiva crescita sociale.

È questo l’ambito della società civile, intesa come l’insieme dei rapporti tra individui e tra società intermedie, che si realizzano in forma originaria e grazie alla «soggettività creativa del cittadino. La rete di questi rapporti innerva il tessuto sociale e costituisce la base di una vera comunità di persone, rendendo possibile il riconoscimento di forme più elevate di socialità”.

(CDSC 185)

E’ “NON FACCIA IL MAGGIORE CIO’ CHE PUO’ FARE IL MINORE”

Nel Magistero colui che coniò il concetto e il termine di sussidiarietà o funzione suppletiva fu Pio XI nell’enciclica Quadragesimo Anno (1931). Egli guardando alla società e alla Comunità politica del suo tempo “attentata” dallo statalismo, dal capitalismo esasperato o sulla lotta di classe, rivendica la valorizzazione di tutte le realtà private e pubbliche impegnate nel tessuto della società, ciascuna nella propria competenza, per offrire una risposta di lavoro, di formazione, di cultura, di assistenza e di previdenza al corpo sociale.

 

Gesù disse questa parabola: Un uomo, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità, e partì. Colui che aveva ricevuto cinque talenti, andò subito a impiegarli e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò, e volle regolare i conti con loro. Colui che aveva ricevuto cinque talenti, ne presentò altri cinque…. e chi due, altri due. Venuto infine colui che aveva ricevuto un solo talento, disse: Signore, so che sei un uomo duro…  e per paura andai a nascondere il tuo talento sotterra; ecco qui il tuo. Il padrone gli rispose: Servo malvagio … sapendo che sono un uomo duro, avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha>>. Mt 25, 14-30

 

SENSO POSITIVO

“Siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l’industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare.

Ed è questo insieme un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della società; perché l’oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva le membra del corpo sociale, non già distruggerle e assorbirle.

In base a tale principio, tutte le società di ordine superiore devono porsi in atteggiamento di aiuto (« subsidium ») — quindi di sostegno, promozione, sviluppo — rispetto alle minori.

In tal modo, i corpi sociali intermedi possono adeguatamente svolgere le funzioni che loro competono, senza doverle cedere ingiustamente ad altre aggregazioni sociali di livello superiore, dalle quali finirebbero per essere assorbiti e sostituiti, e per vedersi negata, alla fine, dignità propria e spazio vitale”

(CDSC 186)

IMPLICAZIONI IN NEGATIVO

“Alla sussidiarietà intesa in senso positivo, come aiuto economico, istituzionale, legislativo offerto alle entità sociali più piccole, corrisponde una serie di implicazioni in negativo, che impongono allo Stato di astenersi da quanto restringerebbe, di fatto, lo spazio vitale delle cellule minori ed essenziali della società. La loro iniziativa, libertà e responsabilità non devono essere soppiantate.

(CDSC 186)

E’ SUSCITARE SPIRITO DI INIZIATIVA E COLLABORAZIONE

La sussidiarietà è il deterrente per arginare il grave danno che si farebbe da parte dello Stato al retto ordine sociale «se si rimettesse ad una (organizzazione) maggiore e di grado più elevato ciò che le  società minori di grado inferiore sono esse stesse capaci di compiere.

Secondo la dottrina sociale cristiana si richiede ed auspica per il mantenimento di un ordine sociale degno dell’uomo — nella sua duplice intrinseca dinamica individuale e sociale – le società superiori (Stato, Comunità internazionali) per il raggiungimento del loro scopo devono rispettare l’attivìtà dei gruppi intermedi, valorizzarli per il bene comune a cui essi mirano. Ciò costituisce la salvaguardia dell’originalità di ogni presenza operativa della società. Se dunque questo principio deve valere all’interno di una Comunità nazionale, oggi dovrà essere applicato a livello internazionale.

 

“Ma che cosa è mai Apollo? Che cosa è Paolo? Servitori, attraverso i quali siete venuti alla fede, e ciascuno come il Signore gli ha concesso. Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma era Dio che faceva crescere. Sicché, né chi pianta né chi irriga vale qualcosa, ma solo Dio, che fa crescere. Chi pianta e chi irriga sono una medesima cosa: ciascuno riceverà la propria ricompensa secondo il proprio lavoro. Siamo infatti collaboratori di Dio, e voi siete campo di Dio, edificio di Dio. Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come un saggio architetto io ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra. (1 Cor 6, 5-11)

 

Il principio di sussidiarietà protegge le persone dagli abusi delle istanze sociali superiori e sollecita queste ultime ad aiutare i singoli individui e i corpi intermedi a sviluppare i loro compiti. Questo principio si impone perché ogni persona, famiglia e corpo intermedio ha qualcosa di originale da offrire alla comunità. L’esperienza attesta che la negazione della sussidiarietà, o la sua limitazione in nome di una pretesa democratizzazione o uguaglianza di tutti nella società, limita e talvolta anche annulla lo spirito di libertà e di iniziativa.

 

Senza sussidiarietà si avranno:

mancato o inadeguato riconoscimento dell’iniziativa privata, anche economica, e della sua funzione pubblica.

forme di accentramento, di burocratizzazione, di assistenzialismo, di presenza ingiustificata ed eccessiva dello Stato e dell’apparato pubblico

perdita di energie umane e l’aumento esagerato degli apparati pubblici, dominati da logiche burocratiche più che dalla preoccupazione di servire gli utenti, con enorme crescita delle spese.

formazione di monopoli  che mortificano la creatività.

(CDSC 187)

 

DARE A DIO E’ PERMETTERE CHE LA SUA IMMAGINE RISPLENDA NELL’UOMO

I farisei… e gli erodiani, mandarono a dirgli: <<Maestro… dicci il tuo parere: E` lecito o no pagare il tributo a Cesare?>>. Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: <<Ipocriti, perché mi tentate? Mostratemi la moneta del tributo>>. Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: <<Di chi è questa immagine e l’iscrizione?>>. Gli risposero: <<Di Cesare>>. Allora disse loro: <<Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio>>. (Mt 22,15-21)

 

Frutti della sussidiarietà:

il rispetto e la promozione effettiva del primato della persona e della famiglia;

la valorizzazione delle associazioni e delle organizzazioni intermedie, nelle proprie scelte fondamentali e in tutte quelle che non possono essere delegate o assunte da altri;

l’incoraggiamento offerto all’iniziativa privata, in modo tale che ogni organismo sociale rimanga a servizio, con le proprie peculiarità, del bene comune;

l’articolazione pluralistica della società e la rappresentanza delle sue forze vitali;

la salvaguardia dei diritti umani e delle minoranze;

il decentramento burocratico e amministrativo;

l’equilibrio tra la sfera pubblica e quella privata, con il conseguente riconoscimento della funzione sociale del privato;

un’adeguata responsabilizzazione del cittadino nel suo «essere parte» attiva della realtà politica e sociale del Paese.

 

SUSSIDIARIETA’ ORIZZONTALE E VERTICALE

Sul piano più strettamente giuridico, il principio di sussidiarietà ha una duplice valenza: esso indica sia un paradigma ordinatore dei rapporti tra Stato, formazioni sociali, individui (sussidiarietà orizzontale), sia un criterio di distribuzione delle competenze tra Stato e autonomie locali (sussidiarietà verticale).

 

SUSSIDIARIETA’ VERTICALE: esso ripropone la dimensione federale propria dello Stato, secondo la quale la ripartizione del potere tra diversi livelli territoriali è essenziale per realizzare quella vicinanza dei governanti ai governati, valore primario della democrazia.

Al principio federale tradizionale il principio di sussidiarietà verticale aggiunge un elemento importante costituito dalla necessità di giustificare l’esercizio da parte del livello di governo superiore delle competenze attribuite per costituzione sulla base di accertate inadeguatezze del livello inferiore. Cade così uno dei dogmi classici della teoria dello Stato di stampo ottocentesco, quello secondo cui la decisione del legislatore non richiede giustificazione essendo questi, a priori, l’interprete della «volontà generale».

 

SUSSIDIARIETA’ ORIZZONTALE: significa valutazione dello Stato dei fatti, perseguimento di efficienza, valorizzazione di iniziative decentrate, in vista di una realizzazione effettiva e non presunta del bene comune. E’ sulla prima valenza del principio di sussidiarietà (orizzontale) – che peraltro ne costituisce il significato originario – che vale la pena insistere, in quanto essa appare da un lato quella meno conosciuta e dall’altra quella nei cui confronti si riscontrano le maggiori resistenze ideologiche.

Nel suo significato di sussidiarietà orizzontale questo principio, affermando che lo Stato interviene solo quando l’autonomia della società risulta inefficace, si contrappone all’idea di una cittadinanza di mera partecipazione e promuove invece una cittadinanza di azioni in cui è valorizzata la genialità creativa dei singoli e delle formazio-ni sociali: così viene riconosciuto alla persona il  diritto di iniziativa, se ne afferma a un tempo la responsabilità sociale e si valorizza la persona stessa come protagonista della vita associata, soggetto capace di rispondere, a partire dalla libera associazione con altri, a esigenze e bisogni della società.

In questa sua valenza antistatalistica e antiassistenzialista la sussidiarietà fonda un’idea di Stato che implica la necessità, come esprime la derivazione etimologica subsidiúim, dell’intervento promozionale o ordinatore e coordinatore dello Stato stesso a favore dell’incremento e dell’incentivazione di una cultura della responsabilità; in altri termini lo Stato è il modo con il quale le persone e le forze sociali organizzano la propria vita ai fini di una convivenza che sia tale da aiutare e potenziare la loro libera attività e non “guardiano” neutrale e indifferente degli equilibri del libero mercato.

Se dunque sussidiarietà verticale è più di federalismo,  sussidiarietà orizzontale è più di liberismo, cosicché entrambe convengono a identificare una nuova e originale concezione dello Stato e dei rapporti che esso deve istituire con la società, per cui l’azione del primo si affianca a quella dei vari soggetti sociali nel perseguimento del bene

(E. Malnati, Introduzione alla dottrina della Chiesa, Eupress FTL)

 

SUSSIDIARIETA’ E POLITICA

Lo Stato ha un ruolo di custodia, e non deve invadere lo spazio dei cittadini, della famiglia e dei corpi sociali intermedi con la forma pesante del totalitarismo o quella ingombrante dell’assistenzialismo. Deve lasciare alla responsabilità delle persone spazi di libertà e creatività.

 

«I re delle nazioni spadroneggiano su di loro – e poi coloro che esercitano il potere in questo modo si fanno anche chiamare benefattori – tra voi però non sia così; ma chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve… perché Io sto in mezzo a voi come colui che serve»  (Lc 22,24-27).

 

 

La Lettera ai Romani, spiega che ogni autorità viene da Dio ed  è al servizio di Dio, e di rovescio, che nessuna autorità potrà mai sostituirsi a Dio. E’ esclusa ogni forma di totalitarismo statale perchè al servizio di Dio per il bene dei cittadini, a difesa di chi  fa bene e per reprimere chi fa male.

 

Ciascuno sia sottomesso alle autorità costituite; poichè non c’è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all’autorità, si oppone all’ordine stabilito da Dio, E quelli che si oppongono si attirano addosso la condanna. I governanti infatti, non sono da temere quando si fa il bene, ma quando si fa ilmale. Vuoi non avere da temerel’autorità? Fai il bene e ne avrai lode, poichè essa è a servizio di Dio per il tuo bene. Ma se fai il male, allora temi, perchè non invano essa porta la spada; è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi opera il male. Perciò è necessario stare sottomessi, non solo per timore della punizione, ma anche per ragioni di coscienza. Per questo dunque, dovete pagare i tributi,perchè quelli che sono dediti a questo compito sono funzionari di Dio. Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi il tributo, il tributo; a chi le tasse, le tasse; a chi il timore, il timore; a chi il rispetto, il rispetto.     (Rm 13,1-7)

 

Diverse circostanze possono consigliare che lo Stato eserciti una funzione di supplenza.

Si pensi, ad esempio, alle situazioni in cui è necessario che lo Stato stesso promuova l’economia, a causa dell’impossibilità per la società civile di assumere autonomamente l’iniziativa;

si pensi anche alle realtà di grave squilibrio e ingiustizia sociale, in cui solo l’intervento pubblico può creare condizioni di maggiore eguaglianza, di giustizia e di pace.

 

Alla luce del principio di sussidiarietà, tuttavia, questa supplenza istituzionale non deve prolungarsi ed estendersi oltre lo stretto necessario, dal momento che trova giustificazione soltanto nell’eccezionalità della situazione. In ogni caso, il bene comune correttamente inteso, le cui esigenze non dovranno in alcun modo essere in contrasto con la tutela e la promozione del primato della persona e delle sue principali espressioni sociali, dovrà rimanere il criterio di discernimento circa l’applicazione del principio di sussidiarietà.           (CDSC 188)

SUSSIDIARIETA’ E PARTECIPAZIONE

Caratteristica conseguenza della sussidiarietà è la partecipazione, che si esprime, essenzialmente, in una serie di attività mediante le quali il cittadino, come singolo o in associazione con altri, direttamente o a mezzo di propri rappresentanti, contribuisce alla vita culturale, economica, sociale e politica della comunità civile cui appartiene.

è un dovere da esercitare consapevolmente da parte di tutti, in modo responsabile e in vista del bene comune.

non può essere delimitata o ristretta a qualche contenuto particolare della vita sociale, data la sua importanza per la crescita, innanzi tutto umana, in ambiti quali il mondo del lavoro e le attività economiche nelle loro dinamiche interne, l’informazione e la cultura e, in massimo grado, la vita sociale e politica fino ai livelli più alti, quali sono quelli da cui dipende la collaborazione di tutti i popoli per l’edificazione di una comunità internazionale solidale.

 

In tale prospettiva, è necessario:

favorire la partecipazione soprattutto dei più svantaggiati

l’alternanza dei dirigenti politici, al fine di evitare che si instaurino privilegi occulti;

forte tensione morale, affinché la gestione della vita pubblica sia il frutto della corresponsabilità di ognuno nei confronti del bene comune.

(CDSC 189)

 

PARTECIPAZIONE E DEMOCRAZIA

La partecipazione è uno dei pilastri di tutti gli ordinamenti democratici, oltre che una delle maggiori garanzie di permanenza della democrazia.

1.Il governo democratico, infatti, è definito a partire dall’attribuzione, da parte del popolo, di poteri e funzioni, che vengono esercitati a suo nome, per suo conto e a suo favore;

2.è evidente, dunque, che ogni democrazia deve essere partecipativa. Ciò comporta che i vari soggetti della comunità civile, ad ogni suo livello, siano informati, ascoltati e coinvolti nell’esercizio delle funzioni che essa svolge.

 

 

PROMUOVERE LA PARTECIPAZIONE SOLIDALE con e per gli altri

Particolare attenzione deve essere rivolta ai contesti storici e sociali nei quali la partecipazione dovrebbe veramente attuarsi, facdendo attenzione:

agli atteggiamenti che inducono il cittadino a forme partecipative insufficienti o scorrette;

alla diffusa disaffezione per tutto quanto concerne la vita sociale e politica:

ai tentativi dei cittadini di « contrattare » le condizioni più vantaggiose per sé con le istituzioni, quasi che queste fossero al servizio dei bisogni egoistici,

alla prassi di limitarsi all’espressione della scelta elettorale o ad astenersene.

ai Paesi a regime totalitario o dittatoriale, in cui il fondamentale diritto a partecipare alla vita pubblica è negato alla radice, perché considerato una minaccia per lo Stato;

ai Paesi in cui tale diritto è enunciato soltanto formalmente, ma non concretamente;

all’elefantiasi dell’apparato burocratico, che nega di fatto al cittadino la possibilità di proporsi come un vero attore della vita sociale e politica

(CDSC 190-191)

 

SUSSIDIARIETA’  E  GLOBALIZZAZIONE      (Caritas in Veritate 57-58)

Manifestazione particolare della carità e criterio guida per la collaborazione fraterna di credenti e non credenti è senz’altro il principio di sussidiarietà, espressione dell’inalienabile libertà umana. La sussidiarietà è prima di tutto un aiuto alla persona, attraverso l’autonomia dei corpi intermedi. Tale aiuto viene offerto quando la persona e i soggetti sociali non riescono a fare da sé e implica sempre finalità emancipatrici, perché favorisce la libertà e la partecipazione in quanto assunzione di responsabilità. La sussidiarietà rispetta la dignità della persona, nella quale vede un soggetto sempre capace di dare qualcosa agli altri. Riconoscendo nella reciprocità l’intima costituzione dell’essere umano, la sussidiarietà è l’antidoto più efficace contro ogni forma di assistenzialismo paternalista. Essa può dar conto sia della molteplice articolazione dei piani e quindi della pluralità dei soggetti, sia di un loro coordinamento. Si tratta quindi di un principio particolarmente adatto a governare la globalizzazione e a orientarla verso un vero sviluppo umano.

 

Per non dar vita a un pericoloso potere universale di tipo monocratico, il governo della globalizzazione deve essere di tipo sussidiario, articolato su più livelli e su piani diversi, che collaborino reciprocamente. La globalizzazione ha certo bisogno di autorità, in quanto pone il problema di un bene comune globale da perseguire; tale autorità, però, dovrà essere organizzata in modo sussidiario e poliarchico, sia per non ledere la libertà sia per risultare concretamente efficace.

 

Il principio di sussidiarietà va mantenuto strettamente connesso con il principio di solidarietà e viceversa, perché se la sussidiarietà senza la solidarietà scade nel particolarismo sociale, è altrettanto vero che la solidarietà senza la sussidiarietà scade nell’assistenzialismo che umilia il portatore di bisogno. Questa regola di carattere generale va tenuta in grande considerazione anche quando si affrontano le tematiche relative agli aiuti internazionali allo sviluppo. Essi, al di là delle intenzioni dei donatori, possono a volte mantenere un popolo in uno stato di dipendenza e perfino favorire situazioni di dominio locale e di sfruttamento all’interno del Paese aiutato. Gli aiuti economici, per essere veramente tali, non devono perseguire secondi fini. Devono essere erogati coinvolgendo non solo i governi dei Paesi interessati, ma anche gli attori economici locali e i soggetti della società civile portatori di cultura, comprese le Chiese locali. I programmi di aiuto devono assumere in misura sempre maggiore le caratteristiche di programmi integrati e partecipati dal basso.

 

Resta vero infatti che la maggior risorsa da valorizzare nei Paesi da assistere nello sviluppo è la risorsa umana: questa è l’autentico capitale da far crescere per assicurare ai Paesi più poveri un vero avvenire autonomo.

 

Va anche ricordato che, in campo economico, il principale aiuto di cui hanno bisogno i Paesi in via di sviluppo è quello di consentire e favorire il progressivo inserimento dei loro prodotti nei mercati internazionali, rendendo così possibile la loro piena partecipazione alla vita economica internazionale. Troppo spesso, nel passato, gli aiuti sono valsi a creare soltanto mercati marginali per i prodotti di questi Paesi. Questo è dovuto spesso a una mancanza di vera domanda di questi prodotti: è pertanto necessario aiutare tali Paesi a migliorare i loro prodotti e ad adattarli meglio alla domanda. Inoltre, alcuni hanno spesso temuto la concorrenza delle importazioni di prodotti, normalmente agricoli, provenienti dai Paesi economicamente poveri. Va tuttavia ricordato che per questi Paesi la possibilità di commercializzare tali prodotti significa molto spesso garantire la loro sopravvivenza nel breve e nel lungo periodo.

 

Un commercio internazionale giusto e bilanciato in campo agricolo può portare benefici a tutti, sia dal lato dell’offerta che da quello della domanda. Per questo motivo, non solo è necessario orientare commercialmente queste produzioni, ma stabilire regole commerciali internazionali che le sostengano, e rafforzare il finanziamento allo sviluppo per rendere più produttive queste economie.

 

SUSSIDIARIETA’ E IMPEGNO

Comunità mondiale

Giovanni XXIII già nella Pacem in Terris sentì il bisogno di allargare il campo del principio di sussidiarietà fra i rapporti dei poteri pubblici delle singole Comunità politiche e i Poteri pubblici della Comunità mondiale. Ciò infatti che legittima l’ingerenza umanitaria in uno Stato sovrano da parte della Comunità internazionale è proprio la tutela o il ristabilimento dei diritti umani violati o sistematicamente umiliati, compreso l’ordine sociale e la tutela del diritto delle organizzazioni sociali intermedie a contribuire alla vita socio-politica del proprio Paese. Garantire la sussidiarietà in una Comunità politica significa arginare i vari integralismi sia ideologici che religiosi. L’essere umano gode di una legittima autonomia di decisione e di azione, nonché della facoltà di esercitare pienamente i suoi diritti; egli deve essere protetto dall’eventuale potere arbitrario delle istituzioni e delle strutture sociali e politiche.

 

Educazione

Anche nel campo dell’educazione è importante applicare il principio di sussidiarietà per tutelare quel pluralismo culturale che è patrimonio di una società dotata di un respiro veramente globale e democratico e degna dell’uomo; occorre inoltre battersi perché in uno Stato venga rispettato il diritto che le famiglie hanno di offrire un’educazione scolare ai loro figli secondo le loro convinzioni ed esigere che lo Stato si faccia carico con una reale parità il percorso della scuola non statale. Il Concilio Vaticano II si è espresso esplicitamente a tale proposito affermando che è dovere della «società civile… favorire in diversi modi l’educazione della gioventù: cioè difendere i doveri e i diritti dei genitori e degli altri che svolgono attività educative e dar loro il suo aiuto, in base al principio di sussidiarietà».

 

Politica

L’impegno del laico-cristiano che è nelle istituzioni pubbliche o nella politica dovrebbe essere quello di far comprendere l’importanza del principio di sussidiarietà, facendo inoltre leva sul fatto che è «illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con la forza e l’industria propria per affidarlo alla comunità; così è ingiusto rimettere ad una maggiore e più alta società quello che dalle minori comunità si può fare. Ed è insieme questo un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della società, in quanto l’oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva le membra del corpo sociale, non già distruggerle ed assorbirle».

 

SALMO 15

Signore, chi abiterà nella tua tenda? Chi dimorerà sulla tua santa montagna?

Colui che cammina senza colpa, pratica la giustizia e dice la verità che ha nel cuore, non sparge calunnie con la sua lingua, non fa danno al suo prossimo e non lancia insulti al suo vicino. Ai suoi occhi è spregevole il malvagio, ma onora chi teme il Signore. Anche se ha giurato a proprio danno, mantiene la parola, non presta il suo denaro a usura e non accetta doni contro l’innocente.

Colui che agisce in questo modo resterà saldo per sempre!

08/11/2010

Destinazione universale dei beni

di Staff — Categorie: Dottrina sociale della Chiesa 09/10Commenti disabilitati su Destinazione universale dei beni
3° Elemento per stare insieme:
DESTINAZIONE UNIVERSALE DEI BENI
(CDSC 171-184)
Padre, fonte di ogni bene, principio del nostro essere e del nostro agire, che hai affidato a tutti gli uomini i beni della creazione, fa che in una vita solidale e fraterna, lavoriamo con rinnovata fiducia per una società più giusta e solidale. Te lo chiediamo per Cristo, nostro Signore. Amen.
UN DONO PER TUTTI Gen 1,26-31; 2,1-3
Nella dottrina sociale il diritto alla proprietà è sempre declinato insieme con le affermazioni della destinazione universale dei beni economici.  La terra è consegnata, nella Creazione a tutto il genere umano.
Dio disse: <<Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini  sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche  e su tutti i rettili che strisciano sulla terra>>. Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò.
Dio li benedisse e disse loro: <<Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra>>.
Poi Dio disse: <<Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la  terra e ogni albero in cui è il frutto, che produce seme: saranno il vostro cibo…. E così avvenne.  Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona. E fu sera e fu  mattina: sesto giorno.
Così furono portati a compimento il cielo e la terra e tutte le loro schiere.  Allora Dio, nel settimo giorno portò a termine il lavoro che aveva fatto e  cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro. Dio benedisse il settimo giorno e lo  consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli creando aveva fatto.
Dalla consegna della proprietà, nasce
il diritto-dovere del lavoro come custodia del dono ricevuto (Gen 2,15) e come mezzo per procurarsi il sostentamento (Gen 3,19).
il diritto al tempo libero dal lavoro, sancito dall’istituzione del settimo giorno che proprio per questo si chiama sabato (Gen 2,2-3), codificato nei dieci comandamenti (Es 20,8-11), poichè «non di solo pane vive l’uomo (Dt 8,3).
“Destinazione ed uso universale dei beni non significano che tutto sia a disposizione di ognuno o di tutti, neppure che la stessa cosa serva o appartenga ad ognuno o a tutti” CDSC 173.
«Dio ha destinato la terra con tutto quello che in essa e contenuto all’uso di tutti gli uomini e popoli, sicchè i beni creati devono pervenire a tutti con equo criterio, avendo per guida la giustizia e per compagna la carità»
(GS 69) .
DECALOGO
DELLA DESTINAZIONE UNIVERSALE DEI BENI
1.La terra è il primo dono di Dio a tutto il genere umano
2.La terra è indispensabile all’uomo per alimentarsi crescere, comunicare, associarsi realizzarsi
3.La terra è di Dio e destinata a tutti senza escludere e privilegiare nessuno
4.La destinazione universale è la base del diritto universale all’uso dei beni, per lo sviluppo della persona e dell’intera umanità.
5.E’ diritto naturale originario: tutti nascono con il diritto all’uso dei beni; è iscritto nella natura nell’uomo, non è solo diritto positivo o contingente alla storia
6.E’ diritto naturale prioritario, per il quale tutti gli altri diritti, compresi di proprietà e di libero commercio, sono subordinati alla loro destinazione universale.
7.E’ il primo principio dell’ordinamento etico-sociale
8.E’ principio tipico della dottrina sociale cristiana.
9.E’ causa del dovere grave e urgente di tutti i diritti a facilitare la loro univerale destinazione.
10. Implica precisa definizione dei modi e dei limiti; interventi regolamentati nazionali e internazionali; ordinamento giuridico specifico
UN DONO IN AFFIDAMENTO
La terra non è data da Dio in proprietà, ma in amministrazione, in affitto, in ipoteca al singolo per la sua sussistenza. Il popolo di Dio è un popolo nomade, anche quando è sedentarizzato e quindi non potrà mai installarsi in un possesso autonomo:
“…la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e inquilini… io sono il Signore vostro Dio, io vi ho fatto uscire dal paese di Egitto, io vi ho dato il paese di Canaan”  (Lev 25,23.38).
“.. noi non abbiamo quaggiù una dimora stabile, ma cerchiamo quella futura. Per mezzo di Cristo, dunque, offriamo continuamente un sacrificio di lode a Dio, cioè il frutto di labbra che confessano il suo nome”. (Eb 13,14)
“… d’ora in poi quelli che comprano vivano come se non possedessero, quelli che usano del mondo, come se non ne usassero appieno, perchè pasa la scena di questo mondo” (1Cor 7,29a30b-31).
“Vi esorto, come stranieri e pellegrini, ad astenervi dai desideri della carne” (1Pt 2,11)
UN DONO PER OGNUNO: la proprietà privata
Mediante il lavoro, l’uomo, usando la sua intelligenza, riesce a dominare la terra e a farne la sua degna dimora: In tal modo egli fa propria una parte della terra, che appunto si è acquistata col lavoro. E’ qui l’origine della proprietà individuale. CDSC 176
La proprietà privata e le altre forme di possesso privato
sono finalizzati alla salvaguardia della libertà e della dignità della persona
assicurano 1’autonomia personale e familiare
prolungano la libertà umana
stimolano al dovere e alla responsabilità
stimolano ad una politica economica sociale e democratica
garantiscono il retto ordine sociale.
Nabot di Izreèl possedeva una vigna vicino al palazzo di Acab re di Samaria.  Acab disse a Nabot: <<Cedimi la tua vigna; siccome è vicina alla mia casa, ne farei un orto. In cambio ti darò una vigna migliore oppure, se preferisci, te la pagherò in denaro al prezzo che vale>>. Nabot rispose ad Acab: <<Mi guardi il Signore dal cederti l’eredità dei miei padri>>.  Acab se ne andò a casa amareggiato e sdegnato per le parole dettegli da Nabot di Izreèl, che aveva affermato: <<Non ti cederò l’eredità dei miei padri>>. Si coricò sul letto, si girò verso la parete e non volle mangiare.  Entrò da lui la moglie Gezabele e gli domandò: <<Perché mai il tuo spirito è tanto amareggiato e perché non vuoi mangiare?>>.  Le rispose: <<Perché ho detto a Nabot di Izreèl: Cedimi la tua vigna per denaro o, se preferisci, te la cambierò con un’altra vigna ed egli mi ha risposto: Non cederò la mia vigna!>>.  Allora sua moglie Gezabele gli disse: <<Tu ora eserciti il regno su Israele? Alzati, mangia e il tuo cuore gioisca. Te la darò io la vigna di Nabot di Izreèl!>>. Essa scrisse lettere con il nome di Acab, le sigillò con il suo sigillo, quindi le spedì agli anziani e ai capi, che abitavano nella città di Nabot.  Nelle lettere scrisse: <<Bandite un digiuno e fate sedere Nabot in prima fila tra il popolo. Di fronte a lui fate sedere due uomini iniqui, i quali l’accusino: Hai maledetto Dio e il re! Quindi conducetelo fuori e lapidatelo ed egli muoia>>.  Gli uomini della città di Nabot, gli anziani e i capi che abitavano nella sua città, fecero come aveva ordinato loro Gezabele, ossia come era scritto nelle lettere che aveva loro spedite. Bandirono il digiuno e fecero sedere Nabot in prima fila tra il popolo.  Vennero due uomini iniqui, che si sedettero di fronte a lui. Costoro accusarono Nabot davanti al popolo affermando: <<Nabot ha maledetto Dio e il re>>. Lo condussero fuori della città e lo uccisero lapidandolo.  Quindi mandarono a dire a Gezabele: <<Nabot è stato lapidato ed è morto>>.  Appena sentì che Nabot era stato lapidato e che era morto, disse ad Acab: <<Su, impadronisciti della vigna di Nabot di Izreèl, il quale ha rifiutato di vendertela, perché Nabot non vive più, è morto>>.  Quando sentì che Nabot era morto, Acab si mosse per scendere nella vigna di Nabot di Izreèl a prenderla in possesso.  Il Signore disse a Elia il Tisbita:  <<Su, recati da Acab, re di Israele, che abita in Samaria; ecco è nella vigna di Nabot, ove è sceso a prenderla in possesso. Gli riferirai:  Così dice il Signore: Hai assassinato e ora usurpi! Per questo dice il Signore: Nel punto ove lambirono il sangue di Nabot, i cani lambiranno anche il tuo sangue>>.
UN DONO SUBORDINATO
La tradizione cristiana non ha mai riconosciuto il diritto alla proprietà privata come assoluto ed intoccabile,  ma subordinato al diritto dell’uso comune, alla destinazione universale dei beni. CDSC 177
Ne consegue per la proprietà privata, che:
è un mezzo per il rispetto del principio della destinazione universale dei beni, non il fine
è in funzione del principio del bene comune (CDSC 178) non ri cercando il solo vantaggio personale e familiare.
è come comune, nel senso di utile a lui e agli altri.
deve essere  equamente accessibile a tutti, perchè  tutti diventino in qualche misura proprietari,
esclude il ricorso a forme di comune e promiscuo dominio. CDSC 176
ci siano vincoli e regolamentazione sul loro uso da parte dei proprietari.
i proprietari non tengano inoperosi i beni posseduti, ma destinarli all’attività produttiva, anche affidandoli a chi ha desiderio e capacità.
riguarda anche la proprietà comunitaria, che caratterizza la struttura sociale di numerosi popoli indigeni. CDSC 180
si estende ai frutti del progresso economico e tecnologico, che provengono dalla conoscenza, dalla tecnica e dal sapere, su cui si fonda la ricchezza delle Nazioni industrializzate. CDSC 179
L’importanza della proprietà privata per la salvaguardia della libertà e della dignità di ogni persona, è affermata dai corpi legislativi riguardanti l’Anno Giubilare, anno di azzeramento dei debiti e di rientro nel possesso della proprietà ceduta in pegno, perchè necessaria alla libertà e alla dignità della persona.
“Le terre non si potranno vendere per sempre, perchè la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e inquilini. Perciò in tutto il paese che avrete in possesso concederete il diritto di riscatto per quanto riguarda il suolo. Se tuo fratello, divenuto povero, vende una parte della sua proprietà, colui che ha il diritto di riscatto, cioè il suo parente più stretto, verrà e riscatterà ciò che ilfratello ha venduto”. (Lv 24,23-25)
UN DONO SU CUI VIGILARE
II principio della destinazione universale dei beni invita a coltivare una visione dell’economia ispirata a valori morali che permettano di non perdere mai di vista ne l’ordine, ne la finalità di tali beni, in modo da realizzare un mondo equo e solidale, in cui la formazione della ricchezza possa assumere una funzione positiva. CDSC 174
Gesù disse: <<Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell’abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni>>. Disse poi una parabola: <<La campagna di un uomo ricco aveva dato un buon raccolto. Egli ragionava tra sé: Che farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti? E disse: Farò così: demolirò i miei magazzini e ne costruirò di più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia. Ma Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà? Così è di chi accumula tesori per sé, e non arricchisce davanti a Dio>>.  Lc 12,15-21
La ricchezza è il risultato di un processo produttivo di elaborazione tecnico-economica delle risorse disponibili, naturali e derivate, che deve essere:
guidato dall’inventiva, dalla capacità progettuale, dal lavoro degli uomini,
impiegato come mezzo utile per promuovere il benessere degli uomini e dei popoli e per contrastare la loro esclusione e il loro sfruttamento. CDSC 174
La destinazione universale dei beni porta a creare le condizioni necessarie allo sviluppo integrale, nel quale:
tutti possano contribuire alla promozione di un mondo più umano, in cui ciascuno possa dare e ricevere,
il progresso degli uni non ostacola lo sviluppo degli altri, ne pretesto per il loro assoggettamento. CDSC 175
Quando di mette da parte la dipendenza dei beni da Dio e la loro finalizzazione al bene comune, nascono una serie di promesse illusorie e tentatrici:
Assolutizzazione o idolatria dei beni
Asservimento e schavitù dei beni
“Nessuno può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro, o preferirà l’uno e dispezzerà l’altro: non potete servire a Dio e a mammona” (Mt 6,24)
“Se vuoi essere perfetto, va, vendi quello che possiedi e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo” (Mt 6,21)
“Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio … Mortificate quella parte di voi che appartiene alla terra: fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi e quella avarizia insaziabile che è idolatria, cose tutte che attirano l’ira di Dio su coloro che disobbediscono”. (Col 3,1ss)
La DSC  afferma anche  il rischio delle economie più avanzate di andare a finire in una “idolatria del mercato” e l’indicazione autorevole del perpetuarsi e moltiplicarsi di fenomeni di “alienazione economica” della persona umana. (CA 40-41)
L’abbinamento idolatria beni-alienazione uomo è tipica della tradizione biblica:
La fede monoteistica è connessa con la liberazione dalla schiavitù egiziana; l’alternativa è tra l’andare ad adorare Dio nel deserto e il continuare ad essere nient’altro che forza-lavoro del Faraone (Es 54,3-8): appartenere ad un solo Dio significa non essere sottomessi o sottomettibili a nessun altro.
I profeti condannano il commercio selvaggio (Amos 8,4-7) e il capitalismo sfrenato (Is 5,8-9).
“Le vostre ricchezze sono imputridite… Avete accumulato tesori per gli ultimi giorni! Ecco, il salario da voi  defraudato ai lavoratori che hanno mietuto le vostre terre grida; e le  proteste dei mietitori sono giunte alle orecchie del Signore degli  eserciti. Avete gozzovigliato sulla terra e vi siete saziati di piaceri.. Avete condannato e ucciso  il giusto ed egli non può opporre resistenza”. (Giac 5,1-6)
Così dice il Signore onnipotente: << Guai agli spensierati di Sion e a quelli che si considerano sicuri sulla montagna di Samaria! Essi su letti d’avorio e sdraiati sui loro divani mangiano gli agnelli del gregge e i vitelli cresciuti nella stalla. Canterellano al suono dell’arpa, si pareggiano a David negli strumenti musicali; bevono il vino in larghe coppe e si ungono con gli unguenti più raffinati, ma della rovina di Giuseppe non si preoccupano. Perciò andranno in esilio in testa ai deportati e cesserà l’orgia dei buontemponi >>. (Am 6,1-7)
SALMO 48  PERICOLO DELLA RICCHEZZA
Questa è la sorte di chi confida in se stesso, l’avvenire di chi si compiace nelle sue parole: come pecore sono avviati agli inferi, sarà loro pastore la morte. Scenderanno a precipizio nel sepolcro, svanirà ogni loro parvenza: gli inferi saranno la loro dimora… Se vedi un uomo arricchirsi, non temere, se aumenta la gloria della sua casa. Quando muore con sé non porta nulla, né scende con lui la sua gloria. Nella sua vita si diceva fortunato: << Ti loderanno, perché ti sei arricchito>>. Andrà con la generazione dei suoi padri che non vedranno mai più la luce. L’uomo nelle prosperità non capisce più niente, diventa come un animale.
UN DONO DA GARANTIRE A TUTTI
II principio della destinazione universale dei beni richiede che si guardi con particolare sollecitudine ai poveri, a coloro che si trovano in situazioni di marginalità e, in ogni caso, alle persone a cui le condizioni di vita impediscono una crescita adeguata. CDSC 182
Questo principio viene definito “opzione preferenziale per i poveri, o “forma speciale dell’esercizio della carità”, e riguarda:
le scelte personali di ogni cristiano CDSC 182
le scelte e le responsabilità sociali del vivere CDSC 182
la povertà materiale CDSC 184
la povertà culturale e religiosa CDSC 184
Un dottore della legge si alzò per mettere alla prova Gesù: <<Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?>>. Gesù gli disse: <<Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi leggi?>>. Costui rispose: <<Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso>>. E Gesù: <<Hai risposto bene; fà questo e vivrai>>.  Ma quegli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: <<E chi è il mio prossimo?>>.  Gesù riprese: <<Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall’altra parte. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n’ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all’albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno. Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?>>. Quegli rispose: <<Chi ha avuto compassione di lui>>. Gesù gli disse: <<Và e anche tu fà lo stesso >>.
DALLA DOTTRINA ALLA VITA CDSC 183-184
1. Scegliere i poveri
Gesù si è identificato con i Suoi « fratelli più piccoli», e riconoscerà i suoi eletti proprio da quanto avranno fatto per i poveri.
Gesù disse ai suoi discepoli: <<Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me.
(Mt 25,31ss)
Gesù nelle beatitudini proclama che beati sono i deboli, perchè nel suo ministero e nel suo regno avranno “opzione preferenziale”: finalmente Dio e il suo popolo si occuperanno di loro.
Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone, Alzati gli occhi verso i suoi discepoli, Gesù diceva: <<Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi che ora piangete, perché riderete. Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e v’insulteranno e respingeranno il vostro nome come scellerato, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i profeti. Ma guai a voi, ricchi, perché avete gia la vostra consolazione. Guai a voi che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi che ora ridete, perché sarete afflitti e piangerete. Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i falsi profeti. (Lc 6,17ss)
Gesù stesso ha scelto un modo sobrio ed essenziale di vita. La sua povertà si è manifestata dal dostacco da qualsiasi forma di protezione e di sicurezza umana, confidando solo nella fedeltà di Dio.
Mentre andavano per la strada, un tale gli disse: <<Ti seguirò dovunque tu vada>>. Gesù gli rispose: <<Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo>>. (Lc 9,57-58)
La parabola del ricco consumista è un invito a superare l’indifferenza. Va letta non solo sul piano individuale, ma anche sociale (nazionale e internazionale), come ammonimento a non accumulare capitali economici, senza tener conto dei poveri.
<< C’era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando nell’inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura. Ma Abramo rispose: Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti…. Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento. Ma Abramo rispose: Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro. E lui: No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno. Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi >>. (Lc 16,19-31)
2. Evitare posizioni ideologiche
E’ l’amore per Gesù la causa dell’impegno dei cristiani. Non è la ricchezza in se il peccato, ma l’accumulo di essa a danno dei poveri. Sconfiggere la povertà non è combattere le persone.
Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betània, dove si trovava Lazzaro.. e gli fecero una cena… Maria allora, presa una libbra di olio profumato di vero nardo, assai prezioso, cosparse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì del profumo dell’unguento. Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che doveva poi tradirlo, disse: <<Perché quest’olio profumato non si è venduto per trecento denari per poi darli ai poveri?>>. Questo egli disse non perché gl’importasse dei poveri, ma perché era ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. Gesù allora disse: <<Lasciala fare, perché lo conservi per il giorno della mia sepoltura. I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me>>. (Gv 12,1ss)
“Il realismo cristiano, mentre da una parte apprezza i lodevoli sforzi che si fanno per sconfiggere la povertà, dall’altra mette in guardia da posizioni ideologiche e da messianismi che alimentano l’illusione che si possa sopprimere da questo mondo in maniera totale il problema della povertà. Ciò avverrà soltanto al Suo ritorno, quando Lui sarà di nuovo con noi per sempre. CDSC 183
3. Dovere di giustizia
La Chiesa insegna a soccorrere il prossimo nelle sue varie necessità e profonde nella comunità umana innumerevoli opere di misericordia corporali e spirituali:
fare l’elemosina ai poveri è una delle principali testimonianze della carita
attenzione alla dimensione sociale e politica del problema della povertà, perchè la pratica della carità non si riduce all’elemosina. CDSC 184
Sul rapporto tra carità e giustizia ritorna costantemente 1’insegnamento della Chiesa: Quando doniamo ai poveri le cose indispensabili, non facciamo loro delle elargizioni personali, ma rendiamo loro ciò che è loro. Più che compiere un atto di carita, adempiamo un dovere di giustizia.
I Padri Conciliari raccomandano fortemente che si compia tale dovere
perchè non si offra come dono di carita ciò che è già dovuto a titolo di giustizia.
Salmo 62  Dio unica speranza
Solo in Dio riposa l’anima mia; da lui la mia salvezza. Lui solo è mia rupe e mia salvezza, mia roccia di difesa: non potrò vacillare. Fino a quando vi scaglierete contro un uomo, per abbatterlo tutti insieme, come muro cadente, come recinto che crolla? Tramano solo di precipitarlo dall’alto, si compiacciono della menzogna. Con la bocca benedicono, e maledicono nel loro cuore.
Solo in Dio riposa l’anima mia, da lui la mia speranza. Lui solo è mia rupe e mia salvezza, mia roccia di difesa: non potrò vacillare. In Dio è la mia salvezza e la mia gloria; il mio saldo rifugio, la mia difesa è in Dio. Confida sempre in lui, o popolo, davanti a lui effondi il tuo cuore, nostro rifugio è Dio. Sì, sono un soffio i figli di Adamo, una menzogna tutti gli uomini, insieme, sulla bilancia, sono meno di un soffio.
Non confidate nella violenza, non illudetevi della rapina; alla ricchezza, anche se abbonda, non attaccate il cuore. Una parola ha detto Dio, due ne ho udite: il potere appartiene a Dio, tua, Signore, è la grazia; secondo le sue opere tu ripaghi ogni uomo.

08/11/2010

Bene comune

di Staff — Categorie: Dottrina sociale della Chiesa 09/10Commenti disabilitati su Bene comune

2° Elemento per stare insieme:

RICERCA DEL BENE COMUNE (CDSC 164-170)

 

 

 

E’ SENTIRSI PARTE DI UN UNICO CORPO 1 Cor 12,12-30

 

Fratelli, come il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo. E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito. Ora il corpo non risulta di un membro solo, ma di molte membra.

Se il piede dicesse: <<Poiché io non sono mano, non appartengo al corpo>>, non per questo non farebbe più parte del corpo. E se l’orecchio dicesse: <<Poiché io non sono occhio, non appartengo al corpo>>, non per questo non farebbe più parte del corpo. Se il corpo fosse tutto occhio, dove sarebbe l’udito? Se fosse tutto udito, dove l’odorato?

Ora, invece, Dio ha disposto le membra in modo distinto nel corpo, come egli ha voluto. Se poi tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? Invece molte sono le membra, ma uno solo è il corpo. Non può l’occhio dire alla mano: <<Non ho bisogno di te>>; né la testa ai piedi: <<Non ho bisogno di voi>>. Anzi quelle membra del corpo che sembrano più deboli sono più necessarie; e quelle parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggior rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggior decenza, mentre quelle decenti non ne hanno bisogno.

Ma Dio ha composto il corpo, conferendo maggior onore a ciò che ne mancava, perché non vi fosse disunione nel corpo, ma anzi le varie membra avessero cura le une delle altre. Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui. Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte.

 

Già Platone e Aristotele paragonarono  « lo stato ben ordinato»  ad un corpo e alle sue membra. Seneca insegnò che siamo tutti membra di un grande corpo, perche la natura ci ha generate come parenti e ha fatto di noi degli esseri sociali.

 

Lo stesso Tommaso d’Aquino prende da questi classici, quando definisce la societa come « un corpo»  o come « un uomo». Se è vero che gli organismi non lasciano deperire le loro membra ma le nutrono e le conservano e, solo in caso di necessita, ne sacrificano uno per salvare il tutto, è altrettanto vero che la societa non puo sfruttare i propri membri, ma deve prendersi cura di loro.

 

I membri devono essere a loro volta disposti a subordinare disinteressatamente i propri interessi al bene comune. Il cittadino deve esporsi persino al pericolo della vita per salvaguardare la cosa pubblica. Per il pensiero cristiano allora è un principio di grande importanza se il prezzo può essere la vita. La persona non puo trovare compimento solo in se stessa, a prescindere dal suo essere «  con»  e «  per»  gli altri.

Cfr. E. Malnati, La dottrina sociale della Chiesa, ed. Eupress FTL, 2005

 

 

E’ IL BENE DI TUTTI FATTO DA TUTTI   Mt 14,13-21

 

Sul far della sera, gli si accostarono i discepoli e gli dissero: <<Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare>>. Ma Gesù rispose: <<Non occorre che vadano; date loro voi stessi da mangiare>>. Gli risposero: <<Non abbiamo che cinque pani e due pesci!>>. Ed egli disse: <<Portatemeli qua>>.

E dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci e, alzati gli occhi al cielo, pronunziò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli e i discepoli li distribuirono alla folla. Tutti mangiarono e furono saziati; e portarono via dodici ceste piene di pezzi avanzati. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.

 

Per bene comune s’intende «1’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono sia alla collettivita sia ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione piu pienamente e piu celermente. CDS 164

 

Non consiste nella semplice somma dei beni particolari di ciascun soggetto del corpo sociale.

 

E’ arduo da raggiungere, perche richiede la capacità e la ricerca costante del bene altrui come se fosse proprio.

 

E’ la vita ordinata della comunita politica, ove i doveri e i diritti sono rispettati, ove le persone trovano un ambiente favorevole al loro sviluppo umano, ove i valori non sono stravolti.

 

E’ fatto da tutti: nessuno, laico o credente, giovane o anziano, abbiente o non abbiente, uomo o donna, puo ritenersi esente dal collaborare, a seconda delle proprie capacità, al suo raggiungimento e al suo sviluppo. 1

 

E’ di tutti e di ciascuno al tempo stesso, frutto della sinergia di tutti i beni realizzati dalla convivenza civile delle realtà sociali di cui è composta.

 

E’ il bene di tutti gli uomini e di tutto l’uomo, tanto ai bisogni del suo corpo, che dello spirito.

 

E’ superiore all’interesse privato e inseparabile dal bene della persona

 

E’ il risultato di una più larga assunzione di responsabilita, superamento delle  visioni riduttive subordinate ai vantaggi di parte

 

E’ e rimane comune, perche indivisibile, e perchè solo comunitariamente è possibile costituirto, accrescerlo e conservarlo, anche in vista del futuro.

 

E’ l’elemento costitutivo e ragione d’essere di ogni socialità, dalla famiglia, al gruppo sociale, all’associazione, all’impresa di carattere economico, alla città, alla regione, allo Stato, fino alla comumtà dei popoli e delle Nazioni

 

E’ servizio alla libertà dei singoli (liberi di fare il bene) e alla solidarietà (per la crescita di tutti) in ogni epoca e parte del mondo.

E’ IL BENE ALTRUI COME FOSSE IL PROPRIO Mt 18, 21-35

 

Un volle fare i conti con i suoi servi. Incominciati i conti, gli fu presentato uno che gli era debitore di diecimila talenti. Non avendo però costui il denaro da restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, con i figli e con quanto possedeva, e saldasse così il debito.

Allora quel servo, gettatosi a terra, lo supplicava: Signore, abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa. Impietositosi del servo, il padrone lo lasciò andare e gli condonò il debito.

Appena uscito, quel servo trovò un altro servo come lui che gli doveva cento denari e, afferratolo, lo soffocava e diceva: Paga quel che devi! Il suo compagno, gettatosi a terra, lo supplicava dicendo: Abbi pazienza con me e ti rifonderò il debito. Ma egli non volle esaudirlo, andò e lo fece gettare in carcere, fino a che non avesse pagato il debito.

Visto quel che accadeva, gli altri servi furono addolorati e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito perché mi hai pregato. Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?

Il bene comune inpegna tutti i membri della società: nessuno è esentato dal collaborare, a seconda delle proprie capacità, al suo raggiungimento e alsuo sviluppo. CDSC 167

 

Il bene comune non si raggiunge in modo automatico, ma occorrono:

1.impegno morale della volontà

2.lavoro costruttivo di tutti

3.conversione interiore ai valori e al bene

4.concreta progettualità

5.tutela e promozione della giustizia.

 

Il bene comune deriva dalle condizioni sociali connesse al rispetto e alla promozione della persona e dei suoi diritti fondamentali. CDSC 166

 

Tali esigenze riguardano anzitutto:

1.impegno per la pace

2.organizzazione dei poteri dello Stato un solido ordinamento giuridico,

3.salvaguardia dell’ambiente

4.servizi essenziali: alimentazione, abitazione, lavoro, educazione e accesso alla cultura, trasporti, salute, libera circolazione delle informazioni, tutela della libertà religiosa.

5.cooperazione internazionale in vista del bene comune dell’intera umanità

 

IN COLLABORAZIONE CON IL POTERE POLITICO Mt 22, 15-21

 

I farisei chiesero a Gesù: <<E` lecito o no pagare il tributo a Cesare?>>. Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: <<Ipocriti, perché mi tentate? Mostratemi la moneta del tributo>>. Ed essi gli presentarono un denaro.

Egli domandò loro: <<Di chi è questa immagine e l’iscrizione?>>. Gli risposero: <<Di Cesare>>. Allora disse loro: <<Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio>>.

La responsabililà di consegnire il bene comune compete, oltre che alle singole persone, anche allo Stato, poichè il bene comune e la ragion d’essere dell’autorita politica. CDSC 168

 

 

 

L’uomo singolo, la famiglia, la città, l’impresa, non sono in grado di raggiungere da se stessi al loro pieno sviluppo. C’è bisogno di un organismo coordinatore: i poteri pubblici o governi. Essi sono tenuti:

 

1.A tutelare e promuovere i diritti umani e a rendere più facile l’dempimento del rispettivi doveri.

 

2.A rendere accessibili alle persone i beni necessari (materiali, culturali, morali, spirituali) per condurre una vita veramente umana.

 

3. A promuovere il bene comune senza preferenze per alcuni cittadini o gruppi.

 

4.A garantire coesione, unitarietà e organizzazione alla societa civile, in modo che il bene comune possa essere conseguito con il contributo di tutti.

 

5.Ad armonizzare e conciliare con giustizia i diversi interessi settoriali e i beni particolari di gruppi e di individui.

 

6.A tenere conto non solo degli orientamenti della maggioranza, ma tendere al bene di tutti i membri della comunita civile, compresi quelli in minoranza.

 

7.Ad avere come orizzonte il bene comune universale dell’intera creazione.

 

8.A non privare il bene comune della sua dimensione trascendente: Dio fine ultimo dell’uomo, non solo benessere socio-economico.

 

 

BELLEZZA DELLO STARE INSIEME   Sal 132

Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme!E’ come olio profumato sul capo, che scende sulla barba, sulla barba di Aronne, che scende sull’orlo della sua veste. E’ come rugiada dell’Ermon, che scende sui monti di Sion. Là il Signore dona la benedizione e la vita per sempre.

 

ESERCIZIO DELLE VIRTU’ Mt 25,14ss

 

Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: Un uomo, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità, e partì. Colui che aveva ricevuto cinque talenti, andò subito a impiegarli e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.

Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò, e volle regolare i conti con loro. Colui che aveva ricevuto cinque talenti, ne presentò altri cinque… colui che aveva ricevuto due talenti… ne presentò altri due… Venuto infine colui che aveva ricevuto un solo talento, disse: Signore… per paura andai a nascondere il tuo talento sotterra; ecco qui il tuo. Il padrone gli rispose: Servo malvagio… avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha>>

 

 

Fine ultimo è la CARITA’ SOCIALE. Figlia della carità fraterna, che ci fa volere il bene dell’altro, quella sociale ci fa amare il bene di tutte le persone unite insieme. Non si esaurisce nei rapporti tra persone, ma si estende nella rete in cui tali rapporti si svolgono: la comunità sociale e politica, mirando al bene della comunità. 207, 208

 

1. GIUSTIZIA

come capacità di ognuno d’interpretare e assumere le esigenze delle persone.

 

Pone ognuno al suo posto in ordine al tutto

Ordina tutte le altre virtù al bene comune

Fa superare la visione individualistica degli interessi privati

Assicura le libertà personali

Impone ai membri della comunità tutto ciò che è necessario al bene comune

Consente l’unità ordinata nelle relazioni esteriori

Realizza l’armonia gerarchizzata fra le attivita esteriori e pubbliche

 

2. AMICIZIA CIVICA o politica

E’ il volto profano della carità fraterna, l’estensione nel sociale delle amicizie intime. L’amore è l’anima di tutto e deve estendersi a tutto: “Amici di alcuni per diventare amici di tutti”. Le amicizie intime non avrebbero un’estensione sufficiente per sviluppare tutte le virtualità sociali dell’amore, così come senza le amicizie più particolari, quella civica mancherebbe d’intimità.  Essa ha il compito di

 

Ordinare dinamicamente al bene delle persone l’opera sociale della giustizia.

Orientare  e finalizzare a tale scopo l’educazione delle persone

Cfr. E. Malnati, La dottrina sociale della Chiesa, ed. Eupress FTL, 2005

 

 

 

 

 

 

GIUSTIZIA E BENE COMUNE CRITERI  ORIENTATIVI (CV 6-9)

6. « Caritas in veritate » è principio intorno a cui ruota la dottrina sociale della Chiesa, un principio che prende forma operativa in criteri orientativi dell’azione morale. Ne desidero richiamare due in particolare, dettati in special modo dall’impegno per lo sviluppo in una società in via di globalizzazione: la giustizia e il bene comune.

LA GIUSTIZIA anzitutto. Ubi societas, ibi ius: ogni società elabora un proprio sistema di giustizia. La carità eccede la giustizia, perché amare è donare, offrire del “mio” all’altro; ma non è mai senza la giustizia, la quale induce a dare all’altro ciò che è “suo”, ciò che gli spetta in ragione del suo essere e del suo operare. Non posso « donare » all’altro del mio, senza avergli dato in primo luogo ciò che gli compete secondo giustizia. Chi ama con carità gli altri è anzitutto giusto verso di loro. Non solo la giustizia non è estranea alla carità, non solo non è una via alternativa o parallela alla carità: la giustizia è « inseparabile dalla carità », intrinseca ad essa. La giustizia è la prima via della carità o, com’ebbe a dire Paolo VI, « la misura minima » di essa, parte integrante di quell’amore « coi fatti e nella verità » (1 Gv 3,18), a cui esorta l’apostolo Giovanni. Da una parte, la carità esige la giustizia: il riconoscimento e il rispetto dei legittimi diritti degli individui e dei popoli. Essa s’adopera per la costruzione della “città dell’uomo” secondo diritto e giustizia. Dall’altra, la carità supera la giustizia e la completa nella logica del dono e del perdono. La “città dell’uomo” non è promossa solo da rapporti di diritti e di doveri, ma ancor più e ancor prima da relazioni di gratuità, di misericordia e di comunione. La carità manifesta sempre anche nelle relazioni umane l’amore di Dio, essa dà valore teologale e salvifico a ogni impegno di giustizia nel mondo.

7. Bisogna poi tenere in grande considerazione il BENE COMUNE. Amare qualcuno è volere il suo bene e adoperarsi efficacemente per esso. Accanto al bene individuale, c’è un bene legato al vivere sociale delle persone: il bene comune.

È il bene di quel “noi-tutti”, formato da individui, famiglie e gruppi intermedi che si uniscono in comunità sociale . Non è un bene ricercato per se stesso, ma per le persone che fanno parte della comunità sociale e che solo in essa possono realmente e più efficacemente conseguire il loro bene.

Volere il bene comune e adoperarsi per esso è esigenza di giustizia e di carità.

Impegnarsi per il bene comune è prendersi cura, da una parte, e avvalersi, dall’altra, di quel complesso di istituzioni che strutturano giuridicamente, civilmente, politicamente, culturalmente il vivere sociale, che in tal modo prende forma di pólis, di città.

Si ama tanto più efficacemente il prossimo, quanto più ci si adopera per un bene comune rispondente anche ai suoi reali bisogni.

Ogni cristiano è chiamato a questa carità, nel modo della sua vocazione e secondo le sue possibilità d’incidenza nella pólis. È questa la via istituzionale — possiamo anche dire politica — della carità, non meno qualificata e incisiva di quanto lo sia la carità che incontra il prossimo direttamente, fuori delle mediazioni istituzionali della pólis.

Quando la carità lo anima, l’impegno per il bene comune ha una valenza superiore a quella dell’impegno soltanto secolare e politico. Come ogni impegno per la giustizia, esso s’inscrive in quella testimonianza della carità divina che, operando nel tempo, prepara l’eterno. L’azione dell’uomo sulla terra, quando è ispirata e sostenuta dalla carità, contribuisce all’edificazione di quella universale città di Dio verso cui avanza la storia della famiglia umana. In una società in via di globalizzazione, il bene comune e l’impegno per esso non possono non assumere le dimensioni dell’intera famiglia umana, vale a dire della comunità dei popoli e delle Nazioni, così da dare forma di unità e di pace alla città dell’uomo, e renderla in qualche misura anticipazione prefiguratrice della città senza barriere di Dio. (….)

 

9. L’amore nella verità — caritas in veritate — è una grande sfida per la Chiesa in un mondo in progressiva e pervasiva globalizzazione. Il rischio del nostro tempo è che all’interdipendenza di fatto tra gli uomini e i popoli non corrisponda l’interazione etica delle coscienze e delle intelligenze, dalla quale possa emergere come risultato uno sviluppo veramente umano. Solo con la carità, illuminata dalla luce della ragione e della fede, è possibile conseguire obiettivi di sviluppo dotati di una valenza più umana e umanizzante. La condivisione dei beni e delle risorse, da cui proviene l’autentico sviluppo, non è assicurata dal solo progresso tecnico e da mere relazioni di convenienza, ma dal potenziale di amore che vince il male con il bene (cfr Rm 12,21) e apre alla reciprocità delle coscienze e delle libertà. La Chiesa non ha soluzioni tecniche da offrire e non pretende « minimamente d’intromettersi nella politica degli Stati ». Ha però una missione di verità da compiere, in ogni tempo ed evenienza, per una società a misura dell’uomo, della sua dignità, della sua vocazione (…) La fedeltà all’uomo esige la fedeltà alla verità che, sola, è garanzia di libertà (cfr Gv 8,32) e della possibilità di uno sviluppo umano integrale. Per questo la Chiesa la ricerca, l’annunzia instancabilmente e la riconosce ovunque essa si palesi. Questa missione di verità è per la Chiesa irrinunciabile. La sua dottrina sociale è momento singolare di questo annuncio: essa è servizio alla verità che libera. Aperta alla verità, da qualsiasi sapere provenga, la dottrina sociale della Chiesa l’accoglie, compone in unità i frammenti in cui spesso la ritrova, e la media nel vissuto sempre nuovo della società degli uomini e dei popoli.

Padre, che guidi l’universo con sapienza e amore, ascolta la preghiera che ti rivolgiamo per la società del nostro tempo: fa che fiorisca la giustizia e la concordia, e per l’onestà dei cittadini e la saggezza dei governati, si costruisca il bene comune, per raggiungere la vera pace. Per Cristo nostro Signore. Amen.

08/11/2010

Dignità umana

di Staff — Categorie: Dottrina sociale della Chiesa 09/10Commenti disabilitati su Dignità umana
1° Elemento per stare insieme:
RISPETTO DELLA DIGNITA’ UMANA
Dio onnipotente e misericordioso, che hai creato l’uomo a tua immagine e somiglianza, guarda alla nostra società e al nostro mondo, conforta i tuoi figli e apri i nostri cuori alla speranza, perchè sentendo la presenza di Gesù in mezzo a noi, possiamo impegnarci nel sociale per la salvezza integrale dell’uomo. Per Cristo nostro Signore. Amen.
L’UOMO IMMAGINE DI DIO Genesi 1, 1-2,2
In principio Dio creò il cielo e la terra. Poi Dio disse: <<Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini  sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche  e su tutti i rettili che strisciano sulla terra>>.
Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: <<Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra>>.
E Dio disse: <<Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la  terra e ogni albero in cui è il frutto, che produce seme: saranno il vostro cibo. E così avvenne. Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona.
E’ creato a immagine di Dio con dignità di persona: si conosce, si possiede, decide, si dona 108
La sua vita è sacra e inviolabile. 112
E’ religioso: tende ad aprirsi e a relazionarsi a Dio. 109
E’ sociale: non può vivere senza relazioni. 110. (Unidualità relazionale) 147
Tende alla reciprocità: uguale nel valore alla donna, nel rapporto reciproco realizza se stesso. 111
E’ custode della vita, e dovrà renderne conto: “Domanderò conto della vita dell’uomo all’uomo, a ognuno di suo fratello” Gn 9,5 . 111-112
E’ custode della creazione: tutto è buono e a servizio dell’uomo, ma egli ne deve custodire la bontà rispettandola e non sfruttandola
L’UOMO VERTICE DELLA CREAZIONE Salmo 8
O Signore, nostro Dio, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra: che cosa è l’uomo perché te ne ricordi e il figlio dell’uomo perché te ne curi? Eppure l’hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato: gli hai dato potere sulle opere delle tue mani,tutto hai posto sotto i suoi piedi; tutti i greggi e gli armenti, tutte le bestie della campagna; gli uccelli del cielo e i pesci del mare,che percorrono le vie del mare. O Signore, nostro Dio, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra.
DIO SI FA STORIA DI UN POPOLO Esodo 20, 1-17
La bibbia fin quasi alle soglie del NT non conosce problematiche individuali, ma solo sociali.
Dio pronunziò tutte queste parole: <<Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla condizione di schiavitù: non avrai altri dei di fronte a me. Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascerà impunito chi pronuncia il suo nome invano. Ricordati del giorno di sabato per santificarlo. Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che ti dá  il Signore, tuo Dio. Non uccidere. Non commettere adulterio. Non rubare. Non pronunciare falsa testimonianza contro il tuo prossimo. Non desiderare la casa del tuo prossimo. Non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa che gli appartenga >>
DIO SI FA UOMO Giovanni 1, 1ss
Con la sua incarnazione, Cristo si è unito in un certo senso ad ogni uomo.
La Chiesa riconosce in ogni persona un fratello per il quale Cristo è morto. 105
In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini… Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto. A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità.
L’uomo è la via della Chiesa … la dottrina sociale mira all’uomo… le scienze umane e la filosofia sono di aiuto per interpretare la centralità dell’uomo dentro la società e metterlo in grado di capire meglio se stesso in quanto essere sociale. Soltanto la fede, però, gli rivela piena mente la sua identità vera e proprio da esse prende avvio la dottrina sociale della Chiesa. Non è la filosofia la matrice della dottrina sociale della DS… appartiene la campo della teologia, specialmente della teologia morale.
CENTESIMUS ANNUS 54, (ultima enciclica sociale 1991)
DALLA VITA DELL’UOMO ALLA DOTTRINA
Ispirandosi ai contenuti della Rivelazione biblica, la chiesa ha elaborato un suo discorso sociale, mossa anche  da circostanze moderne, avvenimenti traumatici nella società di fine ottocento. Convenzionalmente si fa risalire l’origine moderna della dottrina sociale al 1891 con la Rerum Novarum, di Leone XIII. Le fonti della dottrina sociale sono le stesse della rivelazione: bibbia e tradizione (vita della Chiesa). Si chiama dottrina, perchè  è presentata come insegnamento del magistero, atto a vincolare nei suoi principi la vita sociale dei cristiani. Per conoscerla si può partire o dal messaggio biblico per arrivare alla dottrina, oppure dalla dottrina per arrivare al fondamento biblico.
DECALOGO DELLA DIGNITA’ UMANA
1.L’uomo ha una dignità trascendente, al di sopra della realtà, e fine ultimo della società. Non può essere strumentalizzato a fini estranei al suo sviluppo integrale, o finalizzato a progetti economici, sociali e politici. 132
2.Ha dignità di persona, non è qualcosa ma qualcuno: è capace di di autocomprendersi, autopossedersi, autodeterminarsi. Intelligente, cosciente, riflessivo, si possiede; possedendosi agisce e si dona; . (Principio personalista)108, 131
3.Non è sola individualità (non dipende solo da sé), ne semplice particella della natura o elemento anonimo dell’umanità. 128.
4.E’ unità di anima (legato a Dio) e corpo (legato al mondo), affidato a se stesso e soggetto di azioni. L’anima spirituale e immortale fa di lui un essere vivente, e lo fa esistere come persona. 127, 129
5.E’ unico e irripetibile, singolare, la cui vicenda non è paragonabile ad un’altra. 131
6.E’ libero (Cfr Sir 15,14), agisce per scelta consapevole, non per coazione esterna . 135
7.E’ uguale in dignità agli altri: ciò che lui è per Dio, è anche ciò che gli altri sono per lui. 144
8.E’ soggetto di diritti universali, inviolabili, inalienabili: diritto alla libertà di coscienza e di religione (fonte e sintesi di tutti i diritti), diritto alla vita, ad avere una famiglia e in un ambiente  favorevoli allo sviluppo della personalità, diritto a maturare  l’intelligenza e la libertà ricercando la verità, diritto al lavoro, diritto a fondare una famiglia, avere figli, esercitare responsabilmente la sessualità. 155
9.E’ soggetto di doveri: riconoscere un diritto come proprio, comporta il dovere rispettare quel diritto in tutte le persone. 156
10.I diritti del singolo sono alla base dei diritti dei popoli, primo fra tutti il diritto all’indipendenza. 157
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