Pubblicata il primo maggio 1991, è la prima enciclica dopo il crollo del comunismo, a cento anni dalla pubblicazione della “Rerum Novarum” di Leone XIII. Infatti è considerata da alcuni come un vero e proprio epitaffio sulla tomba del comunismo. Giovanni Paolo II esamina gli errori compiuti dal socialismo nel tentativo di risolvere i problemi sociali.
Rerum Novarum (traduzione: delle cose nuove, delle novità) è il titolo dell’enciclica sociale promulgata il 15 maggio 1891 da papa Leone XIII con la quale per la prima volta la Chiesa cattolica prese posizione in ordine alle questioni sociali e fondò la moderna dottrina sociale cristiana.
In realtà, anche in precedenza la Chiesa non era rimasta indifferente ai problemi sociali esistenti (grazie soprattutto alla sensibilità dimostrata dai vescovi francesi), ma è proprio a partire da questo documento che i pontefici esprimeranno in modo nuovo e più esplicito la loro sollecitudine. Si tratterà di una voce profetica che si farà all’occasione anche chiara denuncia, come avverrà con le encicliche pubblicate da Pio XI nei confronti dei regimi totalitari nei primi decenni del ventesimo secolo. Con la pubblicazione della Rerum Novarum, Leone XIII sviluppa un’articolata analisi sulla condizione operaia nella società moderna e sulle possibili soluzioni dei problemi che essa impone. Alla base del testo papale vi sono tre capisaldi: la dignità dell’uomo, qualunque siano le sue ricchezze, la responsabilità di ciascuno di fronte ai bisogni dei propri fratelli, i doveri della classe dirigente nei confronti dei governati
Il movimento cattolico era diviso in varie correnti sull’atteggiamento da tenere nei confronti del capitalismo avanzante: c’era chi voleva un avvicinamento al movimento socialista, per tentare di mediare sull’ateismo professato dai marxisti. Altri auspicavano una sostanziale benedizione del progresso, del commercio, e del “laissez faire“. Una corrente molto importante era inoltre rappresentata dai corporativisti, che volevano un ritorno alle istituzioni economiche medievali, allo scopo di ricomporre la tensione sociale.
L’originalità dell’enciclica risiede nella sua mediazione: il Papa, ponendosi esattamente a metà strada fra le parti, ammonisce la classe operaia di non dar sfogo alla propria rabbia attraverso le idee di rivoluzione, di invidia ed odio verso i più ricchi, e chiede ai padroni di mitigare gli atteggiamenti verso i dipendenti e di abbandonare lo schiavismo cui erano sottoposti gli operai. Il Papa, inoltre, auspica che fra le parti sociali possa nascere un accordo nella questione sociale. Ammette le associazioni «sia di soli operai sia miste di operai e padroni». Invita anzi gli operai cristiani a formare proprie società piuttosto che ad aderire ad un’«organizzazione contraria allo spirito cristiano e al bene pubblico». L’enciclica esprime una condanna nei confronti del socialismo, della teoria della lotta di classe, della massoneria, preferendo che la questione sociale venga risolta dall’azione combinata di Chiesa, Stato, impiegati e datori di lavoro.
I – Tratti caratteristici della «Rerum Novarum» (NN. 4-11)
L’ardente brama di novità che da gran tempo ha cominciato ad agitare i popoli, doveva naturalmente dall’ordine politico passare nell’ordine simile dell’economia sociale. E difatti i portentosi progressi delle arti e i nuovi metodi dell’industria; le mutate relazioni tra padroni ed operai; l’essersi accumulata la ricchezza in poche mani e largamente estesa la povertà; il sentimento delle proprie forze divenuto nelle classi lavoratrici più vivo, e l’unione tra loro più intima; questo insieme di cose, con l’aggiunta dei peggiorati costumi, hanno fatto scoppiare il conflitto. Il quale è di tale e tanta gravità che tiene sospesi gli animi in trepida aspettazione e affatica l’ingegno dei dotti, i congressi dei sapienti, le assemblee popolari, le deliberazioni dei legislatori, i consigli dei principi, tanto che oggi non vi è questione che maggiormente interessi il mondo. (RN1)
Una società tradizionale si dissolveva e cominciava a formarsene un’altra, carica di speranza e di nuove forme di ingiustizia
In campo economico …era apparsa una nuova forma di proprietà, il capitale, e una nuova forma di lavoro, il lavoro salariato
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gravosi ritmi di produzione, senza i dovuti riguardi per il sesso, l’età o la situazione familiare, ma unicamente determinato dall’efficienza in vista dell’incremento del profitto.
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Il lavoro era una merce, liberamente acquistata e venduta sul mercato ed il cui prezzo era regolato dalla legge della domanda e dell’offerta, senza tener conto del necessario per il sostentamento della persona e della sua famiglia.
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il lavoratore non aveva nemmeno la sicurezza di riuscire a vendere la «propria merce», essendo minacciato dalla disoccupazione, la quale, in assenza di previdenze sociali
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Conseguenza di questa trasformazione era «la divisione della società in due classi separate da un abisso profondo»:tale situazione si intrecciava con l’accentuato mutamento di ordine politico.
Il Papa, come anche la comunità civile, si trovavano di fronte ad una società divisa da un conflitto… tra il capitale e il lavoro, o — come lo chiamava — la questione operaia, e proprio su di esso il Papa non esitò a dire la sua parola….contenuto essenziale dell’Enciclica fu appunto quello di proclamare le condizioni fondamentali della giustizia
DIRITTO DELLA CHIESA AD INTERVENIRE IN CAMPO SOCIALE
In questo modo Leone XIII stabiliva un paradigma permanente per la Chiesa. Questa, infatti, ha la sua parola da dire di fronte a determinate situazioni umane comunitarie. Ai tempi di Leone XIII una simile concezione del diritto-dovere della Chiesa era ben lontana dall’essere comunemente ammessa. Prevaleva, infatti, una duplice tendenza: l’una orientata a questo mondo ed a questa vita, alla quale la fede doveva rimanere estranea; l’altra rivolta verso una salvezza puramente ultraterrena, che però non illuminava né orientava la presenza sulla terra. L’atteggiamento del Papa nel pubblicare la Rerum novarum conferì alla Chiesa quasi uno «statuto di cittadinanza» nelle mutevoli realtà della vita pubblica…
DOTTRINA SOCIALE COME ANNUNCIO DEL VANGELO
Per la Chiesa insegnare e diffondere la dottrina sociale appartiene alla sua missione evangelizzatrice e fa parte essenziale del messaggio cristiano….. La «nuova evangelizzazione», di cui il mondo moderno ha urgente necessità e su cui ho più volte insistito, deve annoverare tra le sue componenti essenziali l’annuncio della dottrina sociale della Chiesa …. non c’è vera soluzione della «questione sociale» fuori del Vangelo e che, d’altra parte, le «cose nuove» possono trovare in esso il loro spazio di verità e la dovuta impostazione morale.
VALORE UNICO DELLA PERSONA
(11) ciò che fa da trama all’Enciclica, è la corretta concezione della persona umana e del suo valore unico, in quanto «l’uomo … in terra è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa». In lui ha scolpito la sua immagine e somiglianza (cf Gn 1,26), conferendogli una dignità incomparabile… al di là dei diritti che l’uomo acquista col proprio lavoro, esistono diritti che non sono il corrispettivo di nessuna opera da lui prestata, ma che derivano dall’essenziale sua dignità di persona.
DIGNITA’ DEL LAVORATORE
Chiave di lettura del testo leoniano è la dignità del lavoratore e la dignità del lavoro. l Pontefice qualifica il lavoro come «personale», perché «la forza attiva è inerente alla persona e del tutto propria di chi la esercita ed al cui vantaggio fu data». Il lavoro appartiene alla vocazione di ogni persona; l’uomo, anzi, si esprime e si realizza nella sua attività di lavoro. Nello stesso tempo, il lavoro ha una dimensione «sociale» per la sua intima relazione sia con la famiglia, sia anche col bene comune, «poiché si può affermare con verità che il lavoro degli operai è quello che produce la ricchezza degli Stati»
DIRITTO ALLA PROPRIETA’ PRIVATA
Il Papa è ben cosciente del fatto che la proprietà privata non è un valore assoluto, né tralascia di proclamare i principi di necessaria complementarità, come quello della destinazione universale dei beni della terra.
DIRITTO DI CREARE ASSOCIAZIONI PROFESSIONALI
Si coglie qui la ragione per cui la Chiesa difende e approva la creazione di quelli che comunemente si chiamano sindacati, non certo per pregiudizi ideologici, né per cedere a una mentalità di classe, ma perché l’associarsi è un diritto naturale dell’essere umano e, dunque, anteriore rispetto alla sua integrazione nella società politica. Infatti, «non può lo Stato proibirne la formazione», perché «i diritti naturali lo Stato deve tutelarli. Vietando tali associazioni, esso contraddice se stesso».
DIRITTO ALLA LIMITAZIONE DELLE ORE DI LAVORO E AL RIPOSO
Insieme con questo diritto, che il Papa riconosce esplicitamente agli operai o, secondo il suo linguaggio, ai «proletari», sono affermati con eguale chiarezza il diritto alla «limitazione delle ore di lavoro», al legittimo riposo e ad un diverso trattamento dei fanciulli e delle donne quanto al tipo e alla durata del lavoro. «Non è giusto né umano — egli scrive — esigere dall’uomo tanto lavoro, da farne per la troppa fatica istupidire la mente e da fiaccarne il corpo… In ogni convenzione stipulata tra padroni ed operai vi è sempre la condizione o espressa o sottintesa» che si sia provveduto convenientemente al riposo, proporzionato «alla somma delle energie consumate nel lavoro»; poi conclude: «Un patto contrario sarebbe immorale».
DIIRITTO AL GIUSTO SALARIO
Non può essere lasciato «al libero consenso delle parti: sicché il datore di lavoro, pagata la mercede, ha fatto la sua parte, né sembra sia debitore di altro».Lo Stato — si diceva a quel tempo — non ha potere di intervenire nella determinazione di questi contratti, se non per assicurare l’adempimento di quanto è stato esplicitamente pattuito. Una simile concezione delle relazioni tra padroni e operai, puramente pragmatica ed ispirata ad un rigoroso individualismo, viene severamente biasimata nell’Enciclica, perché contraria alla duplice natura del lavoro, come fatto personale e necessario. Poiché, se il lavoro, in quanto personale, rientra nella disponibilità che ciascuno ha delle proprie facoltà ed energie, in quanto necessario è regolato dal grave obbligo che ciascuno ha di «conservarsi in vita»; «di qui nasce per necessaria conseguenza — conclude il Papa — il diritto di procurarsi i mezzi di sostentamento, che per la povera gente si riducono al salario del proprio lavoro». Il salario deve essere sufficiente a mantenere l’operaio e la sua famiglia. Se il lavoratore, «costretto dalla necessità, o per timore del peggio, accetta patti più duri perché imposti dal proprietario o dall’imprenditore, e che volenti o nolenti debbono essere accettati, è chiaro che subisce una violenza contro la quale la giustizia protesta».
DIRITTO AD ADEMPIERE I DOVERI RELIGIOSI
Il Papa lo proclama nel contesto degli altri diritti e doveri degli operai, nonostante il clima generale che, anche ai suoi tempi, considerava certe questioni come attinenti esclusivamente all’ambito privato. Egli afferma la necessità del riposo festivo, perché l’uomo sia riportato al pensiero dei beni celesti e al culto dovuto alla maestà divina. Di questo diritto, radicato in un comandamento, nessuno può privare l’uomo: «A nessuno è lecito violare impunemente la dignità dell’uomo, di cui Dio stesso dispone con grande rispetto»; di conseguenza, lo Stato deve assicurare all’operaio l’esercizio di tale libert. Non sbaglierebbe chi in questa limpida affermazione vedesse il germe del principio del diritto alla libertà religiosa, divenuto poi oggetto di molte solenni Dichiarazioni e Convenzioni internazionali. Al riguardo, ci si deve domandare se gli ordinamenti legali vigenti e la prassi delle società industrializzate assicurino oggi effettivamente l’elementare diritto al riposo festivo.
DOVERE DELLE STATO DI TUTELARE I POVERI
Lo Stato non può limitarsi a «provvedere ad una parte dei cittadini», cioè a quella ricca e prospera, e non può «trascurare l’altra», che rappresenta indubbiamente la grande maggioranza del corpo sociale; altrimenti si offende la giustizia, che vuole si renda a ciascuno il suo. «Tuttavia, nel tutelare questi diritti dei privati, si deve avere un riguardo speciale ai deboli e ai poveri. La classe dei ricchi, forte per se stessa, ha meno bisogno della pubblica difesa; la classe proletaria, mancando di un proprio sostegno, ha speciale necessità di cercarla nella protezione dello Stato. Perciò agli operai, che sono nel numero dei deboli e bisognosi, lo Stato deve rivolgere di preferenza le sue cure e provvidenze».
La solidarietà si dimostra come uno dei principi basilari della concezione cristiana dell’organizzazione sociale e politica. Esso è più volte enunciato da Leone XIII col nome di «amicizia», da Pio XI «carità sociale», mentre Paolo VI «civiltà dell’amore»…..
II – ERRORI DEL SOCIALISMO (NN. 12ss)
INCITAMENTO ALL’ODIO
Papa Leone, infatti, previde le conseguenze negative sotto tutti gli aspetti, politico, sociale ed economico, di un ordinamento della società quale proponeva il «socialismo», che allora era allo stadio di filosofia sociale e di movimento più o meno strutturato. … Le sue parole meritano di essere rilette con attenzione: «Per rimediare a questo male (l’ingiusta distribuzione delle ricchezze e la miseria dei proletari), i socialisti spingono i poveri all’odio contro i ricchi, e sostengono che la proprietà privata deve essere abolita ed i beni di ciascuno debbono essere comuni a tutti …; ma questa teoria, oltre a non risolvere la questione, non fa che danneggiare gli stessi operai, ed è inoltre ingiusta per molti motivi, giacché contro i diritti dei legittimi proprietari snatura le funzioni dello Stato e scompagina tutto l’ordine sociale».
ERRATA ANTROPOLOGIA
L’errore fondamentale del socialismo è di carattere antropologico. Esso, infatti, considera il singolo uomo come un semplice elemento ed una molecola dell’organismo sociale, di modo che il bene dell’individuo viene del tutto subordinato al funzionamento del meccanismo economico-sociale, mentre ritiene, d’altro canto, che quel medesimo bene possa essere realizzato prescindendo dalla sua autonoma scelta, dalla sua unica ed esclusiva assunzione di responsabilità davanti al bene o al male.
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L’uomo così è ridotto ad una serie di relazioni sociali, e scompare il concetto di persona come soggetto autonomo di decisione morale, il quale costruisce mediante tale decisione l’ordine sociale.
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L’uomo, infatti, privo di qualcosa che possa «dir suo» e della possibilità di guadagnarsi da vivere con la sua iniziativa, viene a dipendere dalla macchina sociale e da coloro che la controllano: il che gli rende molto più difficile riconoscere la sua dignità di persona ed inceppa il cammino per la costituzione di un’autentica comunità umana.
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Secondo la Rerum novarum e tutta la dottrina sociale della Chiesa, la socialità dell’uomo non si esaurisce nello Stato, ma si realizza in diversi gruppi intermedi, cominciando dalla famiglia fino ai gruppi economici, sociali, politici e culturali. È quello che ho chiamato la «soggettività» della società che, insieme alla soggettività dell’individuo, è stata annullata dal «socialismo reale».
ATEISMO
Se ci si domanda poi donde nasca quell’errata concezione della natura della persona e della «soggettività» della società, bisogna rispondere che la prima causa è l’ateismo. È nella risposta all’appello di Dio, contenuto nell’essere delle cose, che l’uomo diventa consapevole della sua trascendente dignità… La negazione di Dio priva la persona del suo fondamento e, di conseguenza, induce a riorganizzare l’ordine sociale prescindendo dalla dignità e responsabilità della persona. L’ateismo di cui si parla, del resto, è strettamente connesso col razionalismo illuministico, che concepisce la realtà umana e sociale in modo meccanicistico.
LOTTA DI CLASSE
Dalla medesima radice ateistica scaturisce anche la scelta dei mezzi di azione propria del socialismo, che è condannato nella Rerum novarum. Si tratta della lotta di classe… l’idea di un conflitto che non è limitato da considerazioni di carattere etico o giuridico, che si rifiuta di rispettare la dignità della persona nell’altro (e, di conseguenza, in se stesso), che esclude, perciò, un ragionevole accomodamento e persegue non già il bene generale della società, bensì un interesse di parte che si sostituisce al bene comune e vuol distruggere ciò che gli si oppone. Si tratta, in una parola, della ripresentazione della dottrina della «guerra totale», che il militarismo e l’imperialismo… cioè l’assoluto prevalere della propria parte mediante la distruzione del potere di resistenza della parte avversa, distruzione attuata con ogni mezzo, non esclusi l’uso della menzogna, il terrore contro i civili, le armi di sterminio. Lotta di classe in senso marxista e militarismo, dunque, hanno le stesse radici: l’ateismo e il disprezzo della persona umana, che fan prevalere il principio della forza su quello della ragione e del diritto.
La Rerum novarum si oppone alla statalizzazione degli strumenti di produzione, che ridurrebbe ogni cittadino ad un «pezzo» nell’ingranaggio della macchina dello Stato. Non meno decisamente essa critica la concezione dello Stato che lascia il settore dell’economia totalmente al di fuori del suo campo di interesse e di azione.
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Esso ha il compito di determinare la cornice giuridica, al cui interno si svolgono i rapporti economici, e di salvaguardare in tal modo le condizioni prime di un’economia libera, che presuppone una certa eguaglianza tra le parti, tale che una di esse non sia tanto più potente dell’altra da poterla ridurre praticamente in schiavitù…
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Al conseguimento di questi fini lo Stato deve concorrere sia direttamente che indirettamente. Indirettamente e secondo il principio di sussidiarietà, creando le condizioni favorevoli al libero esercizio dell’attività economica. Direttamente con il principio di solidarietà, ponendo a difesa del più debole alcuni limiti all’autonomia delle parti
L’Enciclica ed il Magistero sociale, ad essa collegato, ebbero una molteplice influenza negli anni tra il XIX e il XX secolo. Tale influenza si riflette in numerose riforme introdotte nei settori della previdenza sociale, delle pensioni, delle assicurazioni contro le malattie, della prevenzione degli infortuni, nel quadro di un maggiore rispetto dei diritti dei lavoratori.
Le riforme in parte furono realizzate dagli Stati, ma un ruolo importante l’ebbe il Movimento operaio. .. Le stesse riforme furono anche il risultato di un libero processo di auto-organizzazione della società, con la messa a punto di strumenti di solidarietà. È da ricordare il contributo dei cristiani nella fondazione di cooperative di produzione, di consumo e di credito, nel promuovere l’istruzione popolare e professionale, nella sperimentazione di forme di partecipazione alla vita dell’impresa e, in generale, della società.
III – IL 1989 (NN. 23-29)
Partendo dalla situazione mondiale ora descritta, e già ampiamente esposta nell’Enciclica Sollicitudo rei socialis, si comprende l’inaspettata e promettente portata degli avvenimenti degli ultimi anni. Il loro culmine certo sono stati gli avvenimenti del 1989 nei Paesi dell’Europa centrale ed orientale, ma essi abbracciano un arco di tempo ed un orizzonte geografico più ampi. Nel corso degli anni ’80 crollano progressivamente in alcuni Paesi dell’America Latina, ma anche dell’Africa e dell’Asia certi regimi dittatoriali ed oppressivi; in altri casi inizia un difficile, ma fecondo cammino di transizione verso forme politiche più partecipative e più giuste. Un contributo importante, anzi decisivo, ha dato l’impegno della Chiesa per la difesa e la promozione dei diritti dell’uomo…. Gli avvenimenti dell’ ’89 offrono l’esempio del successo della volontà di negoziato e dello spirito evangelico… una lotta pacifica, che fa uso delle sole armi della verità e della giustizia… facendo appello alla coscienza dell’avversario e cercando di risvegliare in lui il senso della comune dignità umana
FATTORI DELLA CADUTA DEI REGIMI
1) Violazione dei diritti del lavoro.
Non si può dimenticare che la crisi fondamentale dei sistemi, che pretendono di esprimere il governo ed anzi la dittatura degli operai, inizia con i grandi moti avvenuti in Polonia in nome della solidarietà. Sono le folle dei lavoratori a delegittimare l’ideologia, che presume di parlare in loro nome, ed a ritrovare e quasi riscoprire, partendo dall’esperienza vissuta e difficile del lavoro e dell’oppressione, espressioni e principi della dottrina sociale della Chiesa.
2) Inefficienza del sistema economico
Non va considerata come un problema soltanto tecnico, ma piuttosto come conseguenza della violazione dei diritti umani all’iniziativa, alla proprietà ed alla libertà nel settore dell’economia. A questo aspetto va poi associata la dimensione culturale e nazionale: non è possibile comprendere l’uomo partendo unilateralmente dal settore dell’economia, né è possibile definirlo semplicemente in base all’appartenenza di classe.
3) Vuoto spirituale provocato dall’ateismo
Ha lasciato prive di orientamento le giovani generazioni e in non rari casi le ha indotte a riscoprire le radici religiose della cultura delle loro Nazioni e la stessa persona di Cristo, come risposta esistenzialmente adeguata al desiderio di bene, di verità e di vita che è nel cuore di ogni uomo. Il marxismo aveva promesso di sradicare il bisogno di Dio dal cuore dell’uomo, ma i risultati hanno dimostrato che non è possibile riuscirci senza sconvolgere il cuore.
LETTURA TEOLOGICA DEL CROLLO
Dove la società si organizza riducendo arbitrariamente o, addirittura, sopprimendo la sfera in cui la libertà legittimamente si esercita, il risultato è che la vita sociale progressivamente si disorganizza e decade. Inoltre, l’uomo creato per la libertà porta in sé la ferita del peccato originale, che continuamente lo attira verso il male e lo rende bisognoso di redenzione. Questa dottrina non solo è parte integrante della Rivelazione cristiana, ma ha anche un grande valore ermeneutico, in quanto aiuta a comprendere la realtà umana. L’uomo tende verso il bene, ma è pure capace di male; può trascendere il suo interesse immediato e, tuttavia, rimanere ad esso legato. L’ordine sociale sarà tanto più solido, quanto più terrà conto di questo fatto e non opporrà l’interesse personale a quello della società nel suo insieme, ma cercherà piuttosto i modi della loro fruttuosa coordinazione. Difatti, dove l’interesse individuale è violentemente soppresso, esso è sostituito da un pesante sistema di controllo burocratico, che inaridisce le fonti dell’iniziativa e della creatività. Quando gli uomini ritengono di possedere il segreto di un’organizzazione sociale perfetta che renda impossibile il male, ritengono anche di poter usare tutti i mezzi, anche la violenza o la menzogna, per realizzarla. La politica diventa allora una «religione secolare», che si illude di costruire il paradiso in questo mondo…. La parabola evangelica del buon grano e della zizzania (cf Mt 13,24-30.36-43) insegna che spetta solo a Dio separare i soggetti del Regno ed i soggetti del Maligno, e che siffatto giudizio avrà luogo alla fine dei tempi. Pretendendo di anticipare fin d’ora il giudizio, l’uomo si sostituisce a Dio e si oppone alla sua pazienza.
NUOVE NECESSITA’
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Occorrono passi concreti per creare o consolidare strutture internazionali capaci di intervenire, per il conveniente arbitrato, nei conflitti che insorgono tra le Nazioni, sicché ciascuna di esse possa far valere i propri diritti
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Occorre un grande sforzo per la ricostruzione morale ed economica nei Paesi che hanno abbandonato il comunismo. Per alcuni Paesi di Europa inizia, in un certo senso, il vero dopoguerra. È giusto che nelle presenti difficoltà i Paesi ex-comunisti siano sostenuti dallo sforzo solidale delle altre Nazioni
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Lo sviluppo non deve essere inteso in un modo esclusivamente economico, ma in senso integralmente umano. Non si tratta solo di elevare tutti i popoli al livello di cui godono oggi i Paesi più ricchi, ma di far crescere effettivamente la dignità e la creatività di ogni singola persona. Al culmine dello sviluppo sta l’esercizio del diritto-dovere di cercare Dio, di conoscerlo e di vivere secondo tale conoscenza. Nei regimi totalitari è stato portato all’estremo il principio del primato della forza sulla ragione. L’uomo è stato costretto a subire una concezione della realtà imposta con la forza. Bisogna riconoscere integralmente i diritti della coscienza umana.
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perché le antiche forme di totalitarismo e di autoritarismo non sono ancora del tutto debellate; perché nei Paesi sviluppati si fa a volte un’eccessiva propaganda dei valori puramente utilitaristici, con la sollecitazione sfrenata degli istinti e delle tendenze al godimento immediato, la quale rende difficile il riconoscimento ed il rispetto della gerarchia dei veri valori dell’umana esistenza; perché in alcuni Paesi emergono nuove forme di fondamentalismo religioso che negano ai cittadini di fedi diverse da quelle della maggioranza il pieno esercizio dei loro diritti.
IV – La proprietà privata e l’universale destinazione dei beni (nn. 30-43)
Nella Rerum novarum Leone XIII affermava con forza e con vari argomenti, contro il socialismo del suo tempo, il carattere naturale del diritto di proprietà privata.. e con pari chiarezza che l’«uso» dei beni, affidato alla libertà, è subordinato alla loro originaria destinazione comune di beni creati ed anche alla volontà di Gesù Cristo, manifestata nel Vangelo. Infatti scriveva: «I fortunati dunque sono ammoniti …: i ricchi debbono tremare, pensando alle minacce di Gesù Cristo. Rileggendo tale insegnamento sul diritto di proprietà e la destinazione comune dei beni in rapporto al nostro tempo, si può porre la domanda circa l’origine dei beni che sostentano la vita dell’uomo.
ORIGINE DESTINAZIONE UNIVERSALE
La prima origine di tutto ciò che è bene è l’atto stesso di Dio che ha creato la terra e l’uomo, ed all’uomo ha dato la terra perché la domini col suo lavoro e ne goda i frutti (cf Gn 1,28-29). Dio ha dato la terra a tutto il genere umano, perché essa sostenti tutti i suoi membri, senza escludere né privilegiare nessuno. È qui la radice dell’universale destinazione dei beni della terra… è il primo dono di Dio per il sostentamento della vita umana.
ORIGINE PROPRIETA’ PRIVATA
Ora, la terra non dona i suoi frutti senza una peculiare risposta dell’uomo al dono di Dio, cioè senza il lavoro: è mediante il lavoro che l’uomo, usando la sua intelligenza e la sua libertà, riesce a dominarla e ne fa la sua degna dimora. In tal modo egli fa propria una parte della terra, che appunto si è acquistata col lavoro. È qui l’origine della proprietà individuale. E ovviamente egli ha anche la responsabilità di non impedire che altri uomini abbiano la loro parte del dono di Dio
ANTICO FATTORE DEL LAVORO
Nella storia si ritrovano sempre questi due fattori, il lavoro e la terra, al principio di ogni società umana. Un tempo la naturale fecondità della terra appariva e di fatto era il principale fattore della ricchezza, mentre il lavoro era come l’aiuto ed il sostegno di tale fecondità.
NUOVO FATTORE DEL LAVORO
Nel nostro tempo diventa sempre più rilevante il ruolo del lavoro umano, come fattore produttivo delle ricchezze immateriali e materiali;
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diventa, inoltre, evidente come il lavoro di un uomo si intrecci naturalmente con quello di altri uomini. Oggi più che mai lavorare è un lavorare con gli altri e un lavorare per gli altri: è un fare qualcosa per qualcuno.
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Il lavoro è tanto più fecondo e produttivo, quanto più l’uomo è capace di conoscere le potenzialità produttive della terra e di leggere in profondità i bisogni dell’altro uomo, per il quale il lavoro è fatto.
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un’altra forma di proprietà esiste, in particolare, nel nostro tempo e riveste un’importanza non inferiore a quella della terra: è la proprietà della conoscenza, della tecnica e del sapere. Su questo tipo di proprietà si fonda la ricchezza delle Nazioni industrializzate molto più che su quella delle risorse naturali.
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Chi produce un oggetto, lo fa in genere, oltre che per l’uso personale, perché altri possano usarne dopo aver pagato il giusto prezzo, stabilito di comune accordo mediante una libera trattativa. Ora, proprio la capacità di conoscere tempestivamente i bisogni degli altri uomini e le combinazioni dei fattori produttivi più idonei a soddisfarli, è un’altra importante fonte di ricchezza nella società moderna… molti beni non possono essere prodotti in modo adeguato dall’opera di un solo individuo, ma richiedono la collaborazione di molti al medesimo fine.
Organizzare un tale sforzo produttivo, pianificare la sua durata nel tempo, procurare che esso corrisponda in modo positivo ai bisogni che deve soddisfare, assumendo i rischi necessari: è, anche questo, una fonte di ricchezza nell’odierna società. Così diventa sempre più evidente e determinante il ruolo del lavoro umano disciplinato e creativo e delle capacità di iniziativa e di imprenditorialità.
PRINCIPALE RISORSA DEL LAVORO E’ L’UOMO STESSO
Un tale processo, che mette concretamente in luce una verità sulla persona incessantemente affermata dal cristianesimo, deve essere riguardato con attenzione e favore. In effetti, la principale risorsa dell’uomo insieme con la terra è l’uomo stesso.
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È la sua intelligenza che fa scoprire le potenzialità produttive della terra e le multiformi modalità con cui i bisogni umani possono essere soddisfatti.
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È il suo disciplinato lavoro, in solidale collaborazione, che consente la creazione di comunità di lavoro sempre più ampie ed affidabili per operare la trasformazione dell’ambiente naturale e dello stesso ambiente umano.
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In questo processo sono coinvolte importanti virtù, come la diligenza, la laboriosità, la prudenza nell’assumere i ragionevoli rischi, l’affidabilità e la fedeltà nei rapporti interpersonali, la fortezza nell’esecuzione di decisioni difficili e dolorose, ma necessarie per il lavoro comune dell’azienda e per far fronte agli eventuali rovesci di fortuna.
Se un tempo il fattore decisivo della produzione era la terra e più tardi il capitale, inteso come massa di macchinari e di beni strumentali, oggi il fattore decisivo è sempre più l’uomo stesso (RISORSE UMANE) e cioè la sua capacità di conoscenza che viene in luce mediante il sapere scientifico, la sua capacità di organizzazione solidale, la sua capacità di intuire e soddisfare il bisogno dell’altro.
RICADUTA DEL PROCESSO NEL TERZO MONDO
Essi non hanno la possibilità di acquisire le conoscenze di base, che permettono di esprimere la loro creatività e di sviluppare le loro potenzialità, né di entrare nella rete di conoscenze ed intercomunicazioni, che consentirebbe di vedere apprezzate ed utilizzate la loro qualità. Essi insomma, se non proprio sfruttati, sono ampiamente emarginati, e lo sviluppo economico si svolge, per così dire, sopra la loro testa, quando non restringe addirittura gli spazi già angusti delle loro antiche economie di sussistenza. Incapaci di resistere alla concorrenza di merci prodotte in modi nuovi e ben rispondenti ai bisogni, allettati dallo splendore di un’opulenza ostentata, ma per loro irraggiungibile e, al tempo stesso, stretti dalla necessità, questi uomini affollano le città del Terzo Mondo.
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Molti altri uomini, pur non essendo del tutto emarginati, vivono all’interno di ambienti in cui è assolutamente primaria la lotta per il necessario e vigono ancora le regole del capitalismo delle origini, nella «spietatezza» di una situazione che non ha nulla da invidiare a quella dei momenti più bui della prima fase di industrializzazione. In altri casi è ancora la terra ad essere l’elemento centrale del processo economico, e coloro che la coltivano, esclusi dalla sua proprietà, sono ridotti in condizioni di semi-servitù
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In questi casi si può ancora oggi, come al tempo della Rerum novarum, parlare di uno sfruttamento inumano…. per i poveri alla mancanza di beni materiali si è aggiunta quella del sapere e della conoscenza, che impedisce loro di uscire dallo stato di umiliante subordinazione.
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L’esperienza ha dimostrato che i Paesi che si sono esclusi hanno conosciuto stagnazione e regresso, mentre hanno conosciuto lo sviluppo i Paesi che sono riusciti ad entrare nella generale interconnessione delle attività economiche a livello internazionale.. il maggior problema sia quello di ottenere un equo accesso al mercato internazionale, fondato non sul principio dello sfruttamento delle risorse naturali, ma sulla valorizzazione delle risorse umane
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Nei contesti di Terzo Mondo conservano la loro validità gli obiettivi indicati dalla Rerum novarum, per evitare la riduzione del lavoro dell’uomo e dell’uomo stesso al livello di una semplice merce: il salario sufficiente per la vita della famiglia; le assicurazioni sociali per la vecchiaia e la disoccupazione; la tutela delle condizioni di lavoro.
Aspetti tipici del Terzo Mondo emergono anche nei Paesi sviluppati.. Coloro che non riescono a tenersi al passo con i tempi possono facilmente essere emarginati; insieme con essi lo sono gli anziani, i giovani, soggetti più deboli, e il cosiddetto Quarto Mondo. Anche la situazione della donna in queste condizioni è tutt’altro che facile.
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il libero mercato è lo strumento più efficace per collocare le risorse e rispondere efficacemente ai bisogni «solvibili», che dispongono di un potere d’acquisto, e per quelle risorse che sono «vendibili»… Ma esistono numerosi bisogni umani che non hanno accesso al mercato.
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Prima ancora della logica dello scambio degli equivalenti, esiste un qualcosa che è dovuto all’uomo perché è uomo, in forza della sua eminente dignità. Questo qualcosa dovuto comporta inseparabilmente la possibilità di sopravvivere e di dare un contributo attivo al bene comune dell’umanità
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Si apre qui un grande e fecondo campo di impegno e di lotta per i sindacati e per le altre organizzazioni dei lavoratori, svolgendo al tempo stesso una funzione essenziale di carattere culturale, per farli partecipare in modo più pieno e degno alla vita della Nazione ed aiutarli lungo il cammino dello sviluppo.
NE CAPITALISMO, NE SOCIALISMO, MA PARTECIPAZIONE
In questo senso si può parlare di lotta contro un sistema economico, inteso come metodo che assicura l’assoluta prevalenza del capitale, del possesso degli strumenti di produzione e della terra rispetto alla libera soggettività del lavoro dell’uomo.
A questa lotta contro un tale sistema non si pone, come modello alternativo, il sistema socialista, che di fatto risulta essere un capitalismo di stato, ma una società del lavoro libero, dell’impresa e della partecipazione. Essa non si oppone al mercato, ma chiede che sia opportunamente controllato dalle forze sociali e dallo Stato, in modo da garantire la soddisfazione delle esigenze fondamentali di tutta la società….. è inaccettabile l’affermazione che la sconfitta del cosiddetto «socialismo reale» lasci il capitalismo come unico modello di organizzazione economica.
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La Chiesa riconosce la giusta funzione del profitto, come indicatore del buon andamento dell’azienda: quando un’azienda produce profitto, ciò significa che i fattori produttivi sono stati adeguatamente impiegati ed i corrispettivi bisogni umani debitamente soddisfatti.
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Tuttavia, il profitto non è l’unico indice delle condizioni dell’azienda. È possibile che i conti economici siano in ordine ed insieme che gli uomini, che costituiscono il patrimonio più prezioso dell’azienda, siano umiliati e offesi nella loro dignità. Oltre ad essere moralmente inammissibile, ciò non può non avere in prospettiva riflessi negativi anche per l’efficienza economica dell’azienda.
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Scopo dell’impresa, infatti, non è semplicemente la produzione del profitto, bensì l’esistenza stessa dell’impresa come comunità di uomini che, in diverso modo, perseguono il soddisfacimento dei loro fondamentali bisogni e costituiscono un particolare gruppo al servizio dell’intera società. Il profitto è un regolatore della vita dell’azienda, ma non è l’unico; ad esso va aggiunta la considerazione di altri fattori umani e morali egualmente essenziali per l’impresa.
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Occorre assicurare a tutti le condizioni di base che consentano di partecipare allo sviluppo. Occorre che le Nazioni più forti sappiano offrire a quelle più deboli occasioni di inserimento nella vita internazionale, e che quelle più deboli sappiano cogliere tali occasioni, facendo gli sforzi e i sacrifici necessari, assicurando la stabilità del quadro politico ed economico, la certezza di prospettive per il futuro, la crescita delle capacità dei propri lavoratori, la formazione di imprenditori efficienti e consapevoli delle loro responsabilità
PROBLEMI DELLE ECONOMIE AVANZATE
Conviene ora rivolgere l’attenzione agli specifici problemi ed alle minacce, che insorgono all’interno delle economie più. Non è male desiderare di viver meglio, ma è sbagliato lo stile di vita che si presume esser migliore, quando è orientato all’avere e non all’essere e vuole avere di più non per essere di più, ma per consumare l’esistenza in un godimento fine a se stesso.
CONSUMISMO Individuando nuovi bisogni e nuove modalità per il loro soddisfacimento, è necessario lasciarsi guidare da un’immagine integrale dell’uomo, che rispetti tutte le dimensioni del suo essere e subordini quelle materiali e istintive a quelle interiori e spirituali. Al contrario, rivolgendosi direttamente ai suoi istinti, si possono creare abitudini di consumo e stili di vita oggettivamente illeciti e spesso dannosi per la sua salute fisica e spirituale.
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EDUCARE I CONSUMATORI Il sistema economico non possiede al suo interno criteri che consentano di distinguere correttamente le forme nuove e più elevate di soddisfacimento dei bisogni umani dai nuovi bisogni indotti, che ostacolano la formazione di una matura personalità. È, perciò, necessaria ed urgente una grande opera educativa e culturale, la quale comprenda l’educazione dei consumatori ad un uso responsabile del loro potere di scelta, la formazione di un alto senso di responsabilità nei produttori e nei professionisti delle comunicazioni di massa
DROGA Un esempio vistoso di consumo artificiale, contrario alla salute e alla dignità dell’uomo e certo non facile a controllare, è quello della droga. La sua diffusione è indice di una grave disfunzione del sistema sociale e sottintende anch’essa una «lettura» materialistica e, in un certo senso, distruttiva dei bisogni umani. La droga come anche la pornografia ed altre forme di consumismo, sfruttando la fragilità dei deboli, tentano di riempire il vuoto spirituale che si è venuto a creare.
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STILI DIVITA È necessario adoperarsi per costruire stili di vita, nei quali la ricerca del vero, del bello e del buono per una crescita comune siano gli elementi che determinano le scelte dei consumi, dei risparmi e degli investimenti.
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SCELTE MORALI E CULTURALI In proposito, non posso ricordare solo il dovere della carità, cioè il dovere di sovvenire col proprio «superfluo» e, talvolta, anche col proprio «necessario» per dare ciò che è indispensabile alla vita del povero. Alludo al fatto che anche la scelta di investire in un luogo piuttosto che in un altro, in un settore produttivo piuttosto che in un altro, è sempre una scelta morale e culturale. Poste certe condizioni economiche e di stabilità politica assolutamente imprescindibili, la decisione di investire, cioè di offrire ad un popolo l’occasione di valorizzare il proprio lavoro, è anche determinata da un atteggiamento di simpatia e dalla fiducia nella Provvidenza
QUESTIONE ECOLOGICA Del pari preoccupante, accanto al problema del consumismo e con esso strettamente connessa, è la questione ecologica. L’uomo, preso dal desiderio di avere e di godere, più che di essere e di crescere, consuma in maniera eccessiva e disordinata le risorse della terra e la sua stessa vita. … Egli pensa di poter disporre arbitrariamente della terra, assoggettandola senza riserve alla sua volontà, come se essa non avesse una propria forma ed una destinazione anteriore datale da Dio, che l’uomo può, sì, sviluppare, ma non deve tradire. Invece di svolgere il suo ruolo di collaboratore di Dio nell’opera della creazione, l’uomo si sostituisce a Dio e così finisce col provocare la ribellione della natura,
FRAGILITA’ DELLE RELAZIONI Oltre all’irrazionale distruzione dell’ambiente naturale è qui da ricordare quella, ancor più grave, dell’ambiente umano,. Mentre ci si preoccupa giustamente, anche se molto meno del necessario, di preservare gli «habitat» naturali delle diverse specie animali minacciate di estinzione, perché ci si rende conto che ciascuna di esse apporta un particolare contributo all’equilibrio generale della terra, ci si impegna troppo poco per salvaguardare le condizioni morali di un’autentica «ecologia umana». Non solo la terra è stata data da Dio all’uomo, ma l’uomo è donato a se stesso da Dio e deve, perciò, rispettare la struttura naturale e morale, di cui è stato dotato.
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La prima e fondamentale struttura a favore dell’«ecologia umana» è la famiglia, in seno alla quale l’uomo riceve le prime nozioni di verità e bene, apprende che cosa vuol dire amare ed essere amati e cosa vuol dire essere persona.
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compito dello Stato provvedere alla difesa e alla tutela di quei beni collettivi, come l’ambiente naturale e l’ambiente umano, la cui salvaguardia non può essere assicurata dai semplici meccanismi di mercato. Nel vecchio capitalismo lo Stato aveva il dovere di difendere i diritti del lavoro, ora col nuovo capitalismo esso devei difendere i beni collettivi
ALIENAZIONE Si ritrova qui un nuovo limite del mercato: ci sono bisogni collettivi e qualitativi che non possono essere soddisfatti mediante i suoi meccanismi; ci sono esigenze umane importanti che sfuggono alla sua logica; ci sono dei beni che, in base alla loro natura, non si possono e non si debbono vendere e comprare. Certo, i meccanismi di mercato offrono sicuri vantaggi: aiutano, tra l’altro, ad utilizzare meglio le risorse; favoriscono lo scambio dei prodotti e, soprattutto, pongono al centro la volontà e le preferenze della persona che nel contratto si incontrano con quelle di un’altra persona. Tuttavia, essi comportano il rischio di un’«idolatria» del mercato, che ignora l’esistenza dei beni che, per loro natura, non sono né possono essere merci.
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Il marxismo ha criticato le società capitalistiche, rimproverando l’alienazione dell’esistenza umana basato su una concezione errata dell’alienazione, che la fa derivare solo dalla sfera dei rapporti di produzione e di proprietà, (Vendersi al padrone) negando la positività delle relazioni di mercato. L‘esperienza dei Paesi socialisti ha dimostrato che il collettivismo non sopprime l’alienazione, ma l’accresce, aggiungendovi penuria di cose e l’inefficienza.
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L’Occidente, da parte sua, dimostra che l’alienazione con la perdita del senso autentico dell’esistenza è un fatto reale anche nelle società occidentali. Essa si verifica nel consumo, (Vendersi ai consumi indotti) quando l’uomo è implicato in una rete di false e superficiali soddisfazioni, anziché essere aiutato a fare l’autentica e concreta esperienza della sua personalità. Essa si verifica anche nel lavoro, quando è organizzato in modo tale da «massimizzare» soltanto i suoi frutti e proventi e non ci si preoccupa che il lavoratore, mediante il proprio lavoro, si realizzi di più o di meno come uomo, a seconda che cresca la sua partecipazione in un’autentica comunità solidale
PASSARE DALL’ALIENAZIONE ALLA DONAZIONE
È necessario ricondurre il concetto di alienazione alla visione cristiana:
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quando non riconosce il valore e la grandezza della persona in se stesso e nell’altro, l’uomo di fatto si priva della possibilità di fruire della propria umanità e di entrare in quella relazione di solidarietà e di comunione con gli altri uomini. È, infatti, mediante il libero dono di sé che l’uomo diventa autenticamente se stesso e questo dono è reso possibile dall’essenziale «capacità di trascendenza» della persona umana. L’uomo non può donare se stesso ad un progetto solo umano della realtà, ad un ideale astratto o a false utopie.
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Egli, in quanto persona, può donare se stesso ad un’altra persona o ad altre persone e, infine, a Dio, che è l’autore del suo essere ed è l’unico che può pienamente accogliere il suo dono.
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È alienato l’uomo che rifiuta di trascendere se stesso e di vivere l’esperienza del dono di sé e della formazione di un’autentica comunità umana, orientata al suo destino ultimo che è Dio.
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È alienata la società che, nelle sue forme di organizzazione sociale, di produzione e di consumo, rende più difficile la realizzazione di questo dono ed il costituirsi di questa solidarietà interumana.
Nella società occidentale è stato superato lo sfruttamento, almeno nelle forme analizzate e descritte da Carlo Marx. Non è stata superata, invece, l’alienazione nelle varie forme di sfruttamento, quando gli uomini si strumentalizzano vicendevolmente e, nel soddisfacimento sempre più raffinato dei loro bisogni particolari e secondari, diventano sordi a quelli principali ed autentici, che devono regolare anche le modalità di soddisfacimento degli altri bisogni.
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L’uomo che si preoccupa solo dell’avere e del godimento, non più capace di dominare i suoi istinti e le sue passioni e di subordinarle mediante l’obbedienza alla verità, non può essere libero: l’obbedienza alla verità su Dio e sull’uomo è la condizione prima della libertà, consentendogli di ordinare i propri bisogni, i propri desideri e le modalità del loro soddisfacimento secondo una giusta gerarchia, di modo che il possesso delle cose sia per lui un mezzo di crescita.
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Un ostacolo a tale crescita può venire dalla manipolazione operata da quei mezzi di comunicazione di massa che impongono, con la forza di una ben orchestrata insistenza, mode e movimenti di opinione, senza che sia possibile sottoporre a una disamina critica le premesse su cui essi si fondano.
CAPITALISMO COME ECONOMIA A SERVIZIO DELLA PERSONA
Si può forse dire che, dopo il fallimento del comunismo, il sistema sociale vincente sia il capitalismo?
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Se con «capitalismo» si indica un sistema economico che riconosce il ruolo fondamentale e positivo dell’impresa, del mercato, della proprietà privata e della conseguente responsabilità per i mezzi di produzione, della libera creatività umana nel settore dell’economia, la risposta è certamente positiva, anche se forse sarebbe più appropriato parlare di «economia d’impresa», o di «economia di mercato», o semplicemente di «economia libera».
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Ma se con «capitalismo» si intende un sistema in cui la libertà nel settore dell’economia non è inquadrata in un solido contesto giuridico che la metta al servizio della libertà umana integrale e la consideri come una particolare dimensione di questa libertà, il cui centro è etico e religioso, allora la risposta è decisamente negativa.
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La Chiesa offre, come indispensabile orientamento ideale, la propria dottrina sociale, che riconosce la positività del mercato e dell’impresa, ma indica, nello stesso tempo, la necessità che questi siano orientati verso il bene comune.
L’AZIENDA, L’UOMO, IL LAVORO (n° 43)
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L’azienda non può esser considerata solo come una «società di capitali»; essa, al tempo stesso, è una «società di persone», di cui entrano a far parte in modo diverso e con specifiche responsabilità sia coloro che forniscono il capitale necessario per la sua attività, sia coloro che vi collaborano col loro lavoro.
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Per conseguire questi fini è necessario un movimento associato dei lavoratori, il cui obiettivo è la promozione integrale della persona.
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L’uomo realizza se stesso per mezzo della sua intelligenza e della sua libertà e, nel fare questo, assume come oggetto e come strumento le cose del mondo e di esse si appropria. In questo suo agire sta il fondamento del diritto all’iniziativa e alla proprietà individuale.
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Mediante il suo lavoro l’uomo s’impegna non solo per se stesso, ma anche per gli altri e con gli altri: ciascuno collabora al lavoro ed al bene altrui. L’uomo lavora per sovvenire ai bisogni della sua famiglia, della comunità di cui fa parte, della Nazione e, in definitiva, dell’umanità tutta. Egli collabora al lavoro degli altri, che operano nella stessa azienda, nonché al lavoro dei fornitori o al consumo dei clienti
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La proprietà dei mezzi di produzione sia in campo industriale che agricolo è giusta e legittima, se serve ad un lavoro utile; diventa, invece, illegittima, quando non viene valorizzata o serve ad impedire il lavoro di altri, per ottenere un guadagno che non nasce dall’espansione globale del lavoro e della ricchezza sociale, ma piuttosto dalla loro compressione, dall’illecito sfruttamento, dalla speculazione e dalla rottura della solidarietà nel mondo del lavoro. Una tale proprietà non ha nessuna giustificazione e costituisce un abuso al cospetto di Dio e degli uomini.
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L’obbligo di guadagnare il pane col sudore della propria fronte suppone, al tempo stesso, un diritto. Una società in cui questo diritto sia sistematicamente negato, in cui le misure di politica economica non consentano ai lavoratori di raggiungere livelli soddisfacenti di occupazione, non può conseguire né la sua legittimazione etica né la pace sociale. Come la persona realizza pienamente se stessa nel libero dono di sé, così la proprietà si giustifica moralmente nel creare, nei modi e nei tempi dovuti, occasioni di lavoro e crescita umana per tutti.
V – Stato e Cultura (NN.44-52)
Leone XIII non ignorava che una sana teoria dello Stato è necessaria per assicurare il normale sviluppo delle attività umane Per questo, in un passo della Rerum novarum egli presenta l’organizzazione della società secondo i tre poteri — legislativo, esecutivo e giudiziario —, e ciò in quel tempo costituiva una novità nell’insegnamento della Chiesa.
TOTALITARISMO
A questa concezione si è opposto nel tempo moderno il totalitarismo
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nella forma marxista-leninista, ritiene che alcuni uomini, in virtù di una più profonda conoscenza delle leggi di sviluppo della società, o per una particolare collocazione di classe o per un contatto con le sorgenti più profonde della coscienza collettiva, sono esenti dall’errore e possono, quindi, arrogarsi l’esercizio di un potere assoluto.
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il totalitarismo nasce dalla negazione della verità in senso oggettivo: se non esiste una verità trascendente, allora non esiste nessun principio sicuro che garantisca giusti rapporti tra gli uomini.
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l loro interesse di classe, di gruppo, di Nazione li oppone inevitabilmente gli uni agli altri.
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Se non si riconosce la verità trascendente, trionfa la forza del potere, e ciascuno tende a utilizzare fino in fondo i mezzi di cui dispone per imporre il proprio interesse o la propria opinione, senza riguardo ai diritti dell’altro.
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l’uomo viene rispettato solo nella misura in cui è possibile strumentalizzarlo per un’affermazione egoistica.
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La radice del moderno totalitarismo, dunque, è da individuare nella negazione della trascendente dignità della persona umana, immagine visibile del Dio invisibile e, proprio per questo, per sua natura stessa, soggetto di diritti che nessuno può violare: né l’individuo, né il gruppo, né la classe, né la Nazione o lo Stato. Non può farlo nemmeno la maggioranza di un corpo sociale, ponendosi contro la minoranza, emarginandola, opprimendola
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negazione della Chiesa. Lo Stato, oppure il partito non può tollerare che sia affermato un criterio oggettivo del bene e del male oltre la volontà dei governanti, Ciò spiega perché il totalitarismo cerca di distruggere la Chiesa o, almeno, di assoggettarla, facendola strumento del proprio apparato ideologico.
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Lo Stato totalitario tende ad assorbire in se stesso la Nazione, la società, la famiglia, le comunità religiose, le persone
DEMOCRAZIA
La Chiesa apprezza il sistema della democrazia, in quanto assicura la partecipazione dei cittadini alle scelte politiche e garantisce ai governati la possibilità sia di eleggere e controllare i propri governanti, sia di sostituirli in modo pacifico. Essa non può favorire la formazione di gruppi dirigenti ristretti, i quali per interessi o per fini ideologici usurpano il potere dello Stato.
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Un’autentica democrazia è possibile solo in uno Stato di diritto e sulla base di una retta concezione della persona. Essa esige che si verifichino le condizioni necessarie per la promozione sia delle singole persone mediante l’educazione e la formazione ai veri ideali, sia della «soggettività» della società mediante la creazione di strutture di partecipazione e di corresponsabilità.
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Oggi si tende ad affermare che l’agnosticismo ed il relativismo scettico sono la filosofia e l’atteggiamento fondamentale rispondenti alle forme politiche democratiche, e che quanti son convinti di conoscere la verità ed aderiscono con fermezza ad essa non sono affidabili dal punto di vista democratico, perché non accettano che la verità sia determinata dalla maggioranza o sia variabile a seconda dei diversi equilibri politici. A questo proposito, bisogna osservare che, se non esiste nessuna verità ultima la quale guida ed orienta l’azione politica, allora le idee e le convinzioni possono esser facilmente strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia.
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Né la Chiesa chiude gli occhi davanti al pericolo del fanatismo, o fondamentalismo, di quanti, in nome di un’ideologia che si pretende scientifica o religiosa, ritengono di poter imporre agli altri uomini la loro concezione. Non è di questo tipo la verità cristiana. Non essendo ideologica, la fede cristiana non presume di imprigionare in un rigido schema la cangiante realtà socio-politica e riconosce che la vita dell’uomo si realizza nella storia in condizioni diverse e non perfette. La Chiesa riaffermando la trascendente dignità della persona, ha come suo metodo il rispetto della libertà
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Ma la libertà è pienamente valorizzata soltanto dall’accettazione della verità: in un mondo senza verità la libertà perde la sua consistenza, e l’uomo è esposto alla violenza delle passioni ed a condizionamenti aperti od occulti.
DEMOCRAZIA BASATA SU QUESTI DIRITTI
Dopo il crollo del totalitarismo comunista e di molti altri regimi totalitari e «di sicurezza nazionale», si assiste oggi al prevalere, non senza contrasti, dell’ideale democratico, unitamente ad una viva attenzione e preoccupazione per i diritti umani. Ma proprio per questo è necessario l’esplicito riconoscimento di questi diritti.
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il diritto alla vita, di cui è parte integrante il diritto a crescere sotto il cuore della madre dopo essere stati generati;
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il diritto a vivere in una famiglia unita e in un ambiente morale, favorevole allo sviluppo della propria personalità;
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il diritto a maturare la propria intelligenza e la propria libertà nella ricerca e nella conoscenza della verità;
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il diritto a partecipare al lavoro per valorizzare i beni della terra ed a ricavare da esso il sostentamento
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il diritto a fondare una famiglia ed a accogliere e educare i figli, esercitando responsabilmente la propria sessualità.
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Fonte e sintesi di questi diritti è la libertà religiosa, intesa come diritto a vivere nella verità della propria fede ed in conformità alla trascendente dignità della propria persona.
Anche nei Paesi dove vigono forme di governo democratico non sempre questi diritti sono del tutto rispettati. Né ci si riferisce soltanto allo scandalo dell’aborto, ma anche a diversi aspetti di una crisi dei sistemi democratici, che talvolta sembra abbiano smarrito la capacità di decidere secondo il bene comune.
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Le domande che si levano dalla società a volte non sono esaminate secondo criteri di giustizia e di moralità, ma piuttosto secondo la forza elettorale o finanziaria dei gruppi che le sostengono.
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Simili deviazioni del costume politico col tempo generano sfiducia ed apatia con la conseguente diminuzione della partecipazione politica e dello spirito civico in seno alla popolazione, che si sente danneggiata e delusa.
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Ne risulta la crescente incapacità di inquadrare gli interessi particolari in una coerente visione del bene comune. Questo, infatti, non è la semplice somma degli interessi particolari, ma implica la loro valutazione e composizione fatta in base ad un’equilibrata gerarchia di valori e ad un’esatta comprensione della dignità e dei diritti della persona
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La Chiesa rispetta la legittima autonomia dell’ordine democratico e non ha titolo per esprimere preferenze per l’una o l’altra soluzione istituzionale o costituzionale. Il contributo, che essa offre a tale ordine, è proprio quella visione della dignità della persona, la quale si manifesta in tutta la sua pienezza nel mistero del Verbo incarnato
RUOLO DELLO STATO
Queste considerazioni generali si riflettono anche sul ruolo dello Stato nel settore dell’economia.
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L’attività economica non può svolgersi in un vuoto istituzionale, giuridico e politico. Essa suppone, al contrario, sicurezza circa le garanzie della libertà individuale e della proprietà, oltre che una moneta stabile e servizi pubblici efficienti. Il principale compito dello Stato, pertanto, è quello di garantire questa sicurezza, di modo che chi lavora e produce possa godere i frutti del proprio lavoro e, quindi, si senta stimolato a compierlo con efficienza e onestà. La mancanza di sicurezza, accompagnata dalla corruzione dei pubblici poteri e dalla diffusione di improprie fonti di arricchimento e di facili profitti, è uno degli ostacoli per lo sviluppo e per l’ordine economico.
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Altro compito dello Stato è quello di sorvegliare e guidare l’esercizio dei diritti umani nel settore economico; ma in questo campo la prima responsabilità non è dello Stato, bensì dei singoli e dei diversi gruppi e associazioni in cui si articola la società. Non potrebbe lo Stato assicurare direttamente il diritto al lavoro di tutti i cittadini senza irreggimentare l’intera vita economica e mortificare la libera iniziativa dei singoli. Ciò, tuttavia, non significa che esso non abbia alcuna competenza in questo ambito, come hanno affermato i sostenitori di un’assenza di regole nella sfera economica. Lo Stato, anzi, ha il dovere di assecondare l’attività delle imprese, creando condizioni che assicurino occasioni di lavoro, stimolandola ove essa risulti insufficiente o sostenendola nei momenti di crisi.
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Lo Stato ha il diritto di intervenire quando situazioni particolari di monopolio crea ostacoli per lo sviluppo.
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Ma, oltre a questi compiti di armonizzazione e di guida dello sviluppo, esso può svolgere funzioni di supplenza in situazioni eccezionali, quando settori sociali o sistemi di imprese, troppo deboli o in via di formazione, sono inadeguati al loro compito. Simili interventi di supplenza, giustificati da urgenti ragioni attinenti al bene comune, devono essere , limitati nel tempo, per non sottrarre stabilmente a detti settori le competenze proprie
SUSSIDIARIETA’ NON ASSISTENZIALISMO
Si è assistito negli ultimi anni ad un vasto ampliamento di tale sfera di intervento, che ha portato a costituire, in qualche modo, uno Stato di tipo nuovo: lo «Stato del benessere». Non sono, però, mancati eccessi ed abusi che hanno provocato, specialmente negli anni più recenti, dure critiche allo Stato del benessere, qualificato come «Stato assistenziale». Disfunzioni e difetti nello Stato assistenziale derivano da un’inadeguata comprensione dei compiti propri dello Stato.
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Anche in questo ambito deve essere rispettato il principio di sussidiarietà: una società di ordine superiore non deve interferire nella vita interna di una società di ordine inferiore, privandola delle sue competenze, ma deve piuttosto sostenerla in caso di necessità ed aiutarla a coordinare la sua azione con quella delle altre componenti sociali
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Intervenendo direttamente e deresponsabilizzando la società, lo Stato assistenziale provoca la perdita di energie umane e l’aumento esagerato degli apparati pubblici, dominati da logiche burocratiche più che dalla preoccupazione di servire gli utenti, con enorme crescita delle spese. Sembra, infatti, che conosce meglio il bisogno e riesce meglio a soddisfarlo chi è ad esso più vicino e si fa prossimo al bisognoso.
In questo campo la Chiesa è da sempre presente con le sue opere, per offrire all’uomo bisognoso un sostegno materiale che non lo umili e non lo riduca a solo oggetto di assistenza, ma lo aiuti a uscire dalla precaria condizione, promovendone la dignità
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merita speciale menzione il fenomeno del volontariato, che la Chiesa favorisce e promuove sollecitando tutti
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Per superare la mentalità individualista Si richiede un concreto impegno di solidarietà e di carità, il quale inizia dalla famiglia. Accade, però, che quando la famiglia decide di corrispondere pienamente alla propria vocazione, si può trovare priva dell’appoggio necessario da parte dello Stato e non dispone di risorse sufficienti. È urgente promuovere non solo politiche per la famiglia, ma anche politiche sociali, che abbiano come principale obiettivo la famiglia stessa, aiutandola, mediante l’assegnazione di adeguate risorse sia nell’educazione dei figli sia nella cura degli anziani, evitando il loro allontanamento dal nucleo familiare e rinsaldando i rapporti tra le generazioni
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svolgono funzioni primarie ed attivano specifiche reti di solidarietà anche altre società intermedie. Queste, maturano come reali comunità di persone ed innervano il tessuto sociale, impedendo che scada nell’anonimato e nella massificazione. È nell’intersecarsi dei rapporti che vive la persona e cresce la «soggettività della società»
STATO E MERCATO A SERVIZIO DELLA PERSONA
L’individuo oggi è soffocato tra i due poli dello Stato e del mercato. Sembra talvolta che egli esista soltanto come produttore e consumatore di merci, oppure come oggetto dell’amministrazione dello Stato, mentre si dimentica che la convivenza tra gli uomini non è finalizzata né al mercato né allo Stato, poiché possiede in se stessa un singolare valore che Stato e mercato devono servire. L’uomo è un essere che cerca la verità e si sforza di approfondirla in un dialogo che coinvolge le generazioni passate e future. Da tale ricerca aperta della verità, si caratterizza la cultura della Nazione.
RUOLO DELLA CHIESA NELLA FORMAZIONE DELLA CULTURA
In questo contesto, conviene ricordare che anche l’evangelizzazione si inserisce nella cultura delle Nazioni, sostenendola nel suo cammino verso la verità ed aiutandola nel lavoro di purificazione e di arricchimento….. È a questo livello che si colloca il contributo specifico e decisivo della Chiesa in favore della vera cultura.
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Per un’adeguata formazione di tale cultura si richiede il coinvolgimento di tutto l’uomo, il quale vi esplica la sua creatività, la sua intelligenza, la sua conoscenza del mondo e degli uomini. Egli vi investe la sua capacità di autodominio, di sacrificio personale, di solidarietà e di disponibilità per promuovere il bene comune.
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Per questo, il primo e più importante lavoro si compie nel cuore dell’uomo, ed il modo in cui questi si impegna a costruire il proprio futuro dipende dalla concezione che ha di se stesso e del suo destino.
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La Chiesa rende un tale servizio predicando la verità intorno alla creazione del mondo, che Dio ha posto nelle mani degli uomini perché lo più perfetto col loro lavoro, e predicando la verità intorno alla redenzione, per cui il Figlio di Dio ha salvato tutti gli uomini e, al tempo stesso, li ha uniti gli uni agli altri, rendendoli responsabili gli uni degli altri.
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La Chiesa promuove le qualità dei comportamenti umani, che favoriscono la cultura della pace contro modelli che confondono l’uomo nella massa, disconoscono il ruolo della sua iniziativa e libertà e pongono la sua grandezza nelle arti del conflitto e della guerra.
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La Sacra Scrittura ci parla continuamente di attivo impegno per il fratello e ci presenta l’esigenza di una corresponsabilità che deve abbracciare tutti gli uomini…. nessun uomo deve considerarsi estraneo o indifferente alla sorte di un altro membro della famiglia umana.
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Come all’interno dei singoli Stati è giunto finalmente il tempo in cui il sistema della vendetta privata e della rappresaglia è stato sostituito dall’impero della legge, così è ora urgente che un simile progresso abbia luogo nella Comunità internazionale. Non bisogna, peraltro, dimenticare che alle radici della guerra ci sono in genere reali e gravi ragioni: ingiustizie subite, frustrazioni di legittime aspirazioni, miseria e sfruttamento di moltitudini umane disperate, le quali non vedono la reale possibilità di migliorare le loro condizioni con le vie della pace.
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Come esiste la responsabilità collettiva di evitare la guerra, così esiste la responsabilità di promuovere lo sviluppo.
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È questa l’auspicata cultura che fa crescere la fiducia nelle potenzialità umane del povero e, quindi, nella sua capacità di migliorare la propria condizione mediante il lavoro, o di dare un positivo contributo al benessere economico. Per far questo, occorre una concertazione mondiale per lo sviluppo
VI – L’uomo è la via della Chiesa (NN. 53-61)
Negli ultimi cento anni la Chiesa ha manifestato il suo pensiero, seguendo da vicino l’evoluzione della questione sociale. Suo unico scopo è stata la cura e responsabilità per l’uomo, e «questo uomo è la prima via che la Chiesa deve percorrere nel compimento della sua missione… la via tracciata da Cristo stesso, via che passa attraverso l’incarnazione e la redenzione
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La Rerum novarum può essere letta come un importante apporto all’analisi socio-economica della fine del secolo XIX, ma il suo particolare valore le deriva dall’essere un Documentosi della missione evangelizzatrice della Chiesa.
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Da ciò si evince che la dottrina sociale ha di per sé il valore di uno strumento di evangelizzazione: in quanto tale, annuncia Dio ed il mistero di salvezza in Cristo ad ogni uomo e, per la medesima ragione, rivela l’uomo a se stesso. In questa luce, si occupa del resto: dei diritti umani di ciascuno, del «proletariato», della famiglia e dell’educazione, dei doveri dello Stato, dell’ordinamento della società nazionale e internazionale, della vita economica, della cultura, della guerra e della pace, del rispetto alla vita dal momento del concepimento fino alla morte.
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l’antropologia cristiana è in realtà un capitolo della teologia e, per la stessa ragione, la dottrina sociale della Chiesa, preoccupandosi dell’uomo, «appartiene … al campo della teologia e, specialmente, della teologia morale».
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La dimensione teologica risulta necessaria tanto nei confronti della soluzione «atea», che priva l’uomo di una delle sue componenti fondamentali, quella spirituale, quanto nei confronti delle soluzioni permissive e consumistiche, le quali con vari pretesti mirano a convincerlo della sua indipendenza da ogni legge e da Dio, chiudendolo in un egoismo che finisce per nuocere a lui stesso ed agli altri.
Quando annuncia all’uomo la salvezza di Dio, quando gli offre e comunica la vita divina mediante i sacramenti, quando orienta la sua vita con i comandamenti dell’amore di Dio e del prossimo, la Chiesa contribuisce all’arricchimento della dignità dell’uomo.
Il messaggio sociale del Vangelo non deve esser considerato una teoria, ma prima di tutto un fondamento e una motivazione per l’azione. Spinti da questo messaggio, alcuni dei primi cristiani distribuivano i loro beni ai poveri, testimoniando che, nonostante le diverse provenienze sociali, era possibile una convivenza pacifica e solidale. Con la forza del Vangelo, nel corso dei secoli, i monaci coltivarono le terre, i religiosi e le religiose fondarono ospedali e asili per i poveri, le confraternite, come pure uomini e donne di tutte le condizioni, si impegnarono in favore dei bisognosi e degli emarginati, essendo convinti che le parole di Cristo: «Ogni volta che farete queste cose a uno dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me»
L’amore per l’uomo e per il povero, nel quale la Chiesa vede Cristo, si fa concreto nella promozione della giustizia. Questa non potrà mai essere pienamente realizzata, se gli uomini riconosceranno nel bisognoso non un importuno o un fardello, ma l’occasione di bene in sé, la possibilità di una ricchezza più grande. Solo questa consapevolezza infonderà il coraggio per affrontare il rischio ed il cambiamento impliciti in ogni autentico tentativo di venire in soccorso dell’altro uomo. Non si tratta, infatti, solo di dare il superfluo, ma di aiutare interi popoli, che ne sono esclusi o emarginati, ad entrare nel circolo dello sviluppo economico ed umano. Ciò sarà possibile cambiando gli stili di vita, i modelli di produzione e di consumo, le strutture consolidate di potere che oggi reggono le società.